Non saprei dire cosa frullasse nella testa dei miei genitori quando, con fare ingenuo e baldanzoso, decisero di imbarcarsi sul traghetto che da Spalato li avrebbe riportati in Italia, ad Ancona, con un fucile poggiato in bella vista sulle valigie stipate nel bagagliaio della macchina. E non saprei nemmeno dire chi dei due avesse avuto la brillante idea di acquistare come souvenir del viaggio on the road in Jugoslavia quel bel fucile da caccia, un’arma del tutto efficiente sia pur d’antiquariato.
Un’idea costata ad entrambi una notte al fresco, dietro le sbarre di una prigione nella Jugoslavia di Tito, disavventura terminata solo la mattina dopo, quando la polizia di frontiera ha potuto appurare l’identità dei miei sbigottiti genitori. Non erano due pericolosi contrabbandieri d’armi, bensì una professoressa di francese di una scuola media di Bari ed un dirigente dell’Ice, l’istituto Commercio Estero, dedito non all’import export di fucili, bensì di frutta e verdura. Per fortuna, durante la perquisizione, la collana in filigrana d’oro e coralli, acquistata da mia madre a Dubrovnik, non era stata requisita dai gendarmi che avevano saputo riconoscere la manifattura locale di quel gioiello in oro di bassa lega. Un souvenir arrivato fino a me e che un gioielliere veneziano, non altrettanto esperto, mi aveva invece assicurato fosse un pregevole gioiello ottocentesco, di pregiata manifattura calabrese. A scoprirne la reale provenienza, ed il valore decisamente ribassato, sono stata io durante il mio viaggio a Dubrovnik, quando, circa 45 anni dopo i miei genitori, ho potuto ammirare le stesse collane esposte in una delle innumerevoli gioiellerie del centro storico croato. Il souvenir da me scelto, oltre al solito immancabile magnete, è stato un ben più abbordabile, sotto tutti i punti di vista, vaso in vetro trasparente dipinto a mano, oltre ad una simpatica decorazione natalizia acquistata durante il giro delle mura. Un anziano artigiano d’origine italiana aveva allestito, lungo il circuito delle mura di Dubrovnik, all’ombra di un albero, uno piccolo stand dove vendeva ai turisti una sua inedita creazione che ancora conservo appesa ad uno stipite in cucina: un piccolo angelo realizzato con diversi modelli di pasta, una farfalla per le ali, un rigatone per il corpo, due mezze eliche per le braccia e sul capo rotondo una miriade di stelline, quelle solitamente usate per la pastina in brodo, il tutto dipinto in oro.
E’ proprio dalle mura fortificate, lunghe ben 1940 metri interamente percorribili, che in alcuni punti raggiungono i 6 metri di larghezza ed i 25 di altezza, che si gode la vista migliore sulla cittadina croata, l’antica Ragusa decantata da George Bernard Shaw come la città più romantica d’Europa, superando addirittura Parigi e Venezia. Di quest’ultima, Dubrovnik, che ne subì l’autorità tutelare per oltre un secolo (1204-1358), conserva a tratti l’atmosfera, enfatizzata da bifore e trifore e da altri elementi architettonici tipici della Serenissima. Innumerevoli le foto che scatto lungo il percorso, cogliendo i punti panoramici che si affacciano sulla città, sull’isola boscosa di Lokrum, sul mare azzurro, solcato da motoscafi e barche di vario tipo, navi da crociera incluse. Percorro senza fretta l’intero camminamento, lo stesso che, nel Medioevo, percorrevano le ronde, mi soffermo ad ammirare i punti panoramici, scattando foto dalle feritoie delle poderose torri che si aprono su scorci suggestivi: un mare di tetti rossi, accostati gli uni agli altri, sovrastano gli stretti vicoli della città che salgono ripidi tra le colline.
Ricordo che, sfogliando un vecchio album di fotografie che documentava il viaggio dei miei genitori in Jugoslavia, avevo notato come i tetti di Dubrovnick fossero sbiaditi, usurati dal tempo, oggi invece sono rossi e brillanti. Prima di partire, un mio caro amico, mi aveva raccontato, che una fabbrica francese, chiusa da tempo, aveva riaperto appositamente per fabbricare e quindi donare alla città di Dubrovnik le sue tegole rosse. Quella fabbrica, di cui non sono mai riuscita a scoprire il nome, è tutt’ora attiva e realizza coperture per i tetti delle abitazioni di lusso. Non saprei dire se questa storica romantica sia vera, oppure sia frutto della fantasia del mio amico, da tempo scomparso, sta di fatto che durante la sanguinosa guerra d’indipendenza del 1991-92, la “perla dell’Adriatico” la città-monumento, fu più volte sotto il fuoco dei carri armati e delle bombe dei caccia e gran parte dei suoi coppi, (i kupe, in croato), furono distrutti dall’assedio dall’esercito serbo che cercava di impedire con tutte le forze l’indipendenza della Croazia.
La giovane Repubblica Croata, ormai da tempo guarita dalle ferite della guerra, è entrata a far parte dell’Unione europea esattamente il giorno prima del mio arrivo a Dubrovnik. Dopo la Slovenia, è stata la seconda delle sei repubbliche che facevano parte della Jugoslavia a divenire membro dell’UE. Percorro ogni giorno le lunghe scalinate che dal mio B&&, situato poco fuori dal centro storico interamente pedonale, mi portano, attraverso la Porta Pile, risalente al XVI secolo, nel cuore della città.
Oltrepassata questa inizia la strada principale, la Placa, fiancheggiata da edifici ricostruiti dopo il terremoto del 1667, tutti nello stesso stile e pullulante di turisti e vacanzieri stanziali, ammiro le fontane di Onofrio, costruite dal napoletano Onofrio della Cava, mi perdo nel complesso intrico di viuzze lastricate che si dipanano dalla strada principale, interrotte da lunghe scalinate, occupate da ristoranti brulicanti di gente e caffetterie ed impreziosite da numerosi balconcini in ferro battuto. Visito la barocca chiesa di San Biagio, patrono della città, il Palazzo Sponza, costruito nel XVI come zecca, trasformato più tardi in edificio doganale e che oggi racchiude diverse raccolte civiche, faccio acquisti tra i banchetti del mercato in piazza Gundulicena, dove, oltre a frutta e verdura, si vendono souvenir di vario genere, sacchetti di profumata lavanda e bottiglie di grappa locale, dolci tipici come il bro tulani bademi, di mandorla e zucchero, tovaglie e fazzoletti con i ricami di Konavle che si rifanno all’elemento decorativo del costume femminile che un tempo impreziosiva il corsetto.
Ammiro lo scenografico chiostro del convento dei Francescani incorniciato da un doppio colonnato con capitelli uno diverso dall’altro. Da qui si accede in una delle più antiche farmacie d’Europa, fondata nel 1317 che ancora conserva il mobilio del 16° secolo, vasi e orciuoli di Siena e Firenze, misurini e alambicchi per distillare l’acqua oltre ad antiche ricette. La parte tutt’ora funzionante della farmacia non si può fotografare, ma nascosta da occhi indiscreti riesco comunque a strappare qualche immagine.
E’ la cattedrale dell’Assunta, tra le più belle chiese della Croazia, ad ammaliarmi con la sua mole poderosa in pietra. D’altronde a Dubrovnick la pietra regna ovunque sovrana, che sia quella grigia utilizzata per le mura o quella bianca degli edifici. Narra la leggenda che il re inglese Riccardo Cuor di Leone, di ritorno dalla III Crociata nel 1192, naufragò sull’isola di Lokrum a causa di una tremenda tempesta. Scampato alla morte, in segno di riconoscenza fece il voto di donare alla città un’ingente somma di ducati per la costruzione di una chiesa votiva. Con questi denari s’iniziò la costruzione della vecchia cattedrale, che si trovava proprio nello stesso luogo dove insiste quella attuale, ricostruita dopo il terremoto del 1667.
Dal pittoresco porticciolo di Dubrovnick partono ogni giorno diverse brevi crociere, ne scelgo una giornaliera che mi porta alla scoperta di tre isole dell’arcipelago delle Elafiti. Calamotta (Koločep), un’isoletta grande meno di tre chilometri con una popolazione inferiore a 200 persone, ma che durante il periodo estivo ospita centinaia di turisti, soprattutto persone che, come me, la visitano in giornata partendo dall’antica Ragusa.
Visito in velocità, con le tempistiche dei tour di gruppo, i due pittoreschi insediamenti, Donje Čelo e Gornje Čelo, ciascuno situato in fondo a una baia. Il pranzo lo consumiamo a Sipan (Giuppana) la più grande delle tre isole Elafiti. I suoi due villaggi sono circondati da uliveti e vigneti e da una lussureggiante macchia mediterranea. Dopo il pranzo, il nostro “galeone” in legno approda a Lopud, isola impreziosita da numerosi resti monumentali: chiese, palazzi e fortezze ed un convento francescano del XV secolo, che ne testimoniano il glorioso passato di centro della flotta mercantile di Dubrovnik. Ma l’isola merita una visita anche per la sua bella spiaggia sabbiosa, una rarità in Croazia, per la ricca e varia vegetazione e per i magnifici panorami sul mare sui cui fondali sassosi, nelle vicinanze della riva, scorgo decine di prelibati ricci di mare. Prima di lasciare Dubrovnik salgo sul Monte Sergio a bordo della nuova funivia aerea, una delle grandi attrazioni del territorio. La vista da oltre 400 metri d’altezza è superba e si estende sulla città, sul suo porticciolo, sulla spiaggia di ciottoli che non ho avuto occasione di visitare, sul mare che, dall’alto assume le più diverse colorazioni, dal blu cobalto al verde smeraldo, sui monti di natura carsica che si perdono sullo sfondo.