Il Tamil Nadu, culla della cultura dravidica, fu popolata dalle genti di colore scuro, capelli neri e lisci e corporatura piccola che colonizzarono l’India 6000-5000 anni fa imponendosi sugli autoctoni. Il nostro viaggio in questa terra contraddistinta da un suggestivo potpourri di elementi spirituali, religioni e credenze variegate, alcune antichissime altre moderne, inizia dalla capitale Chennai, un tempo nota come Madras, metropoli nata da un agglomerato di villaggi di pescatori e divenuta un’unica grande città sotto il dominio inglese.
Qui si mescolano templi indù e chiese cattoliche come la neogotioca basilica dedicata a San Thomé (apostolo dell’India dal 1972), la cui ampia vetrata descrive la vita del santo. Secondo la leggenda San Tommaso, uno dei dodici apostoli, arrivò in India meridionale subito dopo la morte di Gesù ed il suo corpo è tuttora seppellito nella cripta di una cappella che oggi si trova all’interno della cattedrale di San Thomé.
Il vasto pantheon delle divinità induiste lo scopriamo anzitutto attraverso le innumerevoli e splendide sculture raccolte nella Galleria dei Bronzi del complesso del Pantheon: una superba collezione di quasi 700 pezzi, portata qui da siti e templi della regione circostante, tra cui le rappresentazioni di Shiva nei panni di Nataraja, il danzatore cosmico che simboleggia il ciclo naturale di evoluzione e trasformazione. Ne avrei poi avrei ammirato, purtroppo senza decidermi all’acquisto, una elegante riproduzione bronzea vecchia di oltre 150 anni in un vicino negozio d’antiquariato. Le statue vengono create con la tecnica della cera persa: un modello del soggetto e dapprima realizzato in cera, quindi ricoperto di creta per produrre uno stampo, che infine viene scaldato consentendo alla cera di colare in un foro alla base. Dopo aver versato una lega di cinque metalli nel negativo, l’artigiano attende che il composto si raffreddi per poi rompere lo stampo estrarre l’immagine, rifinirla ed infine lucidarla. Il risultato è sorprendente per la finezza dei particolari e l’espressività dei volti.
Usciti dalla Galleria dei Bronzi restiamo abbagliati dalla magnificenza del palazzo che si innalza difronte, è la National Art Gallery edificata all’inizio del Novecento in stile neo-moghul e rifinita con la tipica arenaria rossa che contraddistingue tanti meravigliosi palazzi del Rajasthan il più turistico e noto stato indiano che avrei scoperto, anni dopo, nei miei successivi viaggi in India.
Prima di lasciare la capitale pranziamo in un ristorantino sulla strada frequentato da residenti. Qui si gustano piatti per lo più vegetariani, serviti su grandi foglie di banano. I singoli bocconi di cibo sono portati alla bocca lentamente ed esclusivamente con le prime tre dita della mano destra. La mano sinistra è considerata infatti impura e si può usare solo per versare e per afferrare il bicchiere. Le norme dietetiche, scritte nei testi sacri dell’Ayurveda e seguite da ogni cuoco che si rispetti, regolano il dosaggio e i miscugli delle spezie, in tal modo una pietanza un po’ pesante sarà sempre attenuata da una base acida, digestiva, sotto forma di pomodori, aceto o limone.
Rifocillati raggiungiamo quindi con il nostro autista il piccolo villaggio sacro di Kanchipuram, una dette sette città sacre degli Indù, sacra sia agli shivaiti (devoti di Shiva) che ai vaishanaviti (adoratori di Visnù). La cittadina è divisa in due zone distinte, con i templi shivaiti a nord e quelli vaishnaviti a sud-est, entrambi caratterizzati da imponenti guglie piramidali su più livelli decorate da statue. In un tempio shivaita riceviamo la benedizione direttamente dal dio Ganesh, figlio primogenito di Shiva e Parvati.
A rappresentarlo, all’ingresso del tempio, c’è un grande elefante addomesticato che benedice i fedeli calando delicatamente la proboscide sul loro capo, però solo dopo aver ricevuto, dalle loro mani, una bella mancia. Anche io e Gianmarco, per poche rupie, riceviamo la nostra benedizione. Il caldo afoso di settembre, che per il Tamil Nadu significa l’inizio del periodo monsonico e delle sue interminabili piogge, ci fa ancor più apprezzare Mamallapuram, la città costiera affacciata sul Golfo del Bengala. Dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità per i suoi spettacoli templi scavati nella roccia, gli altari monolitici, i bassorilievi, Mamallapuram è nota anche per il suo sorprendente Krishna’Butter Ball, un enorme masso naturale in equilibrio precario su un declivio, che Gianmarco, come d’altronde tanti altri turisti, fingerà poi di sorreggere in una divertente foto che gli scatto io. Tra i vari templi ci colpiscono soprattutto lo spettacolare Shore Temple, abbarbicato su un promontorio sul mare e sopravvissuto alle ingiurie del tempo e dell’erosione, ed il complesso di altari monolitici di Panch Rathas.
Qui, in un esperimento ambizioso, stili e tecniche dell’architettura lignea furono imitati nella pietra, creando una varietà di forme che avrei poi apprezzato in Kerala. Prima di lasciare Mamallapuram ci perdiamo tra gli stand delle varie piccole manifatture artigianali, dove abili scalpellini lavorano il marmo rosso. Questa volta non mi lascio scappare l’acquisto di una piccola statua raffigurante il Budda Seduto che purtroppo, una volta tornata a Venezia, scoprirò essere in realtà realizzata in polvere di marmo. Poco male, fa ancora oggi la sua splendida figura su una mensola di casa.
IL TAMIL NADU COLONIALE E MISTICO
La tappa successiva del nostro viaggio ci fa scoprire tutta un’altra dimensione del Tamil Nadu, quella coloniale, francese in particolare, e quella mistica, vagamente hippyes. Pondicherry, capitale dei territori francesi in India, fondata nel 1674 da Francois Martin, primo direttore della Compagnia delle indie Orientali francese, è una cittadina che ancora oggi conserva trasandate reminiscenze architettoniche dell’epoca coloniale. Ma a farci scegliere di visitare Pondicherry e, in realtà, la presenza dell’Ashram di Aurobindo e della “città dell’alba”, Auroville, il cui centro spirituale è il Matri Mandir, una grande costruzione semisferica di marmo dorato al cui interno è custodito un cristallo che riflette i raggi del sole. Gli adepti ritengono che la luce concentrata serva a favorire la concentrazione. Auriville fu progettata nel 1968 come una futuristica città internazionale, dove persone di buona volontà potessero convivere in pace.
Oggi questa comunità internazionale conta 40 insediamenti con nomi come Serenità, Grazie e Giustizia e circa 550 residenti stabili. L’area ci appare marcatamente turisticizzata ed i vari negozietti che vendono manufatti di artigiani locale ci ricordano, purtroppo, quelli di un elegante centro commerciale all’aperto. Prima di lasciare Pondicherry visitiamo l’Ashram di Aurobindo, alla cui porta staziona una lunga fila di turisti/adepti/curiosi. Poeta, filoso e rivoluzionario bengalese Sri Aurobindo Ghose si unì alla lotta per la libertà ai primi del Novecento. Rifugiatosi nel territorio di Pondicherry per sfuggire ai britannici, vi si stabilì per diffondere i principi dello yoga. La sua prima discepola, nonchè compagna, fu Mirra Alfassa, nota poi come “La Madre”, mistica parigina, pittrice e musicista, giunta insieme al marito a Pondicherry durante la prima guerra mondiale. Mirra scelse di restare in India ed ebbe ruolo fondamentale nella creazione dell’Aurobindo Ashram.
Prima di raggiungere Madurai, una delle più grandi città-tempio dell’India del Sud, meta finale del nostro viaggio in Tamil Nadu, il nostro paziente autista ci accompagna a visitare i luoghi che conservano i più spettacoli templi piramidali induisti. Alcuni edifici sono in raffinata pietra chiara altri, decisamente più kitsch, sono arricchiti da statue e stucchi multicolore. Di questi ultime ne è pacchiano esempio il tempio principale di Kumbakonm, antica città in cui, narra la leggenda, la freccia di Shiva frantumò il vaso cosmico contenente il divino nettare della creazione.
Abituati ormai al fastidioso obbligo di togliersi le scarpe per entrare nei templi (rispetto alla Birmania almeno ci consentono l’uso di un calzino), io e Gianmarco visitiamo anche l’impressionante tempio della città sacra di Chidambaram con il suo inconsueto santuario a forma di capanna e quello altrettanto suggestivo dell’antica capitale della dinastia Chola, Gangaikondacholapuram, oggi ridotta a un modesto villaggio di campagna.
A Swamimalai, uno dei cinque luoghi sacri dedicati a Murugan, il figlio guerriero di Shiva, scopriamo l’antichissima pratica del massaggio ayurvedico che poi avrei avuto modo di apprezzare più assiduamente in Kerala, durante il mio successivo viaggio in India. Dalle sapienti mani delle massaggiatrici passo poi ad un bagno altrettanto ristoratore all’interno di una grande tinozza in terracotta a forma di conchiglia, una “coccola” che, dopo giorni interi di cammino sotto il sole, tra la polvere dell’India, appare come un miraggio capace di ritemprare non solo il mio corpo ma anche il mio spirito.
Arriva quindi il momento di rimettersi in macchina per raggiungere il fertile delta del fiume sacro Kaveri. Percorriamo strade sterrate che attraversano immense risaie, dove a capo chino e con i piedi immersi nell’acqua, lavorano decine di donne in panni sgargianti che pretendono qualche rupia per farsi fotografare. Qui sorge la città di Thanjavur dove ammiriamo il monumentale tempio in granito, Brihadishvara Temple, il più bell’esempio di architettura Chola, dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco ed il Royal Palace, la cui forma è ispirata a un’aquila in volo. Ma Thanjavur è nota anche per sue gioiellerie, negozi scintillanti e brulicanti di donne in sari che, in un vociante caos scelgono, sporgendosi concitate sui lunghi banconi espositivi, i monili d’oro in vendita, soprattutto braccialetti rigidi che vengono per tradizione indossati a decine sull’avambraccio. Non posso resistere e anche io mi lascio tentare da un anello in oro dal sofisticato disegno arricchito da piccoli rubini e smeraldi grezzi, un souvenir da 80 euro che in Italia mi sarebbe costato almeno il triplo.
Non posso comunque fare a meno di notare lo stridente contrasto tra la “corsa all’oro” di poche e benestanti donne indiane di alta casta e la diffusa povertà ed il degrado architettonico che si pone davanti ai miei occhi appena fuori dalla porta della gioielleria. Il nostro viaggio sta per volgere al termine; dopo una breve sosta sull’isola sacra di Srirangam, una delle più venerate mete di pellegrinaggio dell’India meridionale e sede del Ranganatha Temple, tra i più estesi complessi templari del Tamil Nadu, raggiungiamo Madurai, culla, per secoli, della cultura tamil. Qui sorge il Minakshi Sundareshvara Temple, complesso templare dedicato a Shiva e alla sua consorte Parvati. Il groviglio di stucchi che decorano le slanciate torri raffigurano divinità, animali mitici e mostri, dipinti a colori vivaci, immagini che vengono sistemate, ridipinte e ritualmente riconsacrate ogni 12 anni. Trascorreranno invece meno di due anni al mio ritorno in India, sempre nel Sud, in Kerala, lo stato più ricco del sub continente indiano. Ma questa è un’altra storia…….
di Claudia Meschini – foto Gianmarco Maggiolini