Il Taj Mahal è il più rappresentativo ma non l’unico simbolo dell’impero che per trecento anni regnò su buona parte dell’India. I Moghul, al pari dei contemporanei Ottomani in Turchia, Safavidi in Iran e Tudor in Inghilterra, diedero infatti vita a una dinastia potente e influente, un impero che, nella sua massima espansione, si estendeva da Kandahar in Afghanisthan, a nord ovest, fino al Bengala, a est, e dal Kashmir, a nord, fino al Deccan, a sud.
Provenienti dall’Asia Centrale (il primo imperatore, Babur, era un principe dell’Asia centrale, discendente di Tamerlano), i Moghul furono grandi mecenati della letteratura, dell’architettura, delle arti e dell’artigianato che sotto il loro patrocinio raggiunsero vette eccelse, anche grazie ad una visione e ad un concetto pluralistico della cultura e dell’arte che univa le eredità migliori delle tradizioni islamiche e induiste.
A Delhi, secondacapitale Moghul dopo Agra, sorge un altro splendido esempio di tomba-giardino, anzi, per meglio dire, il primo grande esempio di mausoleo Moghul, modello per altri monumenti, tra cui l’insuperato Taj Mahal. Costruito del 1565 dall’architetto persiano Mirak Mirza Ghiyas, fu commissionato da Haji Begum, la vedova più anziana di Humayun, secondo imperatore Moghul. L’imponente cupola in marmo bianco della tomba è una semisfera perfetta sovrastata da un ornamento a mezzaluna in stile persiano. I pregevoli graticci in pietra, divennero, in seguito, tratto tipico dei Moghul, ispirando la filigrana in marmo.
L’amore filiale, in particolare quello di una figlia verso il proprio padre, è rappresentato, invece, dalla tomba di Itimad-ud-Daulah, eretta sulla riva orientale del fiume Yamuna ad Agra. La piccola ma elegante tomba-giardino, descritta come “uno scrigno di gioielli in marmo”, fu voluta da Nur Jahan, figlia del tesoriere dell’imperatore Moghul. Il monumento, costruito in sei anni a partire dal 1622, combina marmo bianco, mosaici colorati, intarsi e graticolati.
Nel 1707, la morte di Aurangzeb, figlio dell’imperatore che fece costruire il Taj Mahal e ultimo grande sovrano Moghul, segnò il declino dell’impero, aprendo la strada a due nuove potenze, i Maratha nel Deccan e i Sikh nel nord. Il lento declino della dinastia si concluse nel 1857 con l’estinzione definitiva. A noi, ed ai posteri, restano il Taj Mahal ed altri innumerevole esempi di un’arte che difficilmente trova pari nel mondo antico così come in quello moderno.
Esplicativa della grandezza Moghul è la misteriosa ed affascinante “città fantasma” di Fatehpur Sikri, voluta da Akbar, il più grande imperatore Moghul, brillante amministratore e sovrano illuminato. La cosiddetta “città della vittoria”, il cui attuale stato di conservazione è dovuto agli sforzi iniziali del vice re, lord Curzon, fu costruita tra il 1571 e il 1585 in onore di Salim Chishti, il celebre santo sufi dell’ordine di Chishti e divenne capitale Moghul per 14 anni, durante il regno di Akbar. Si tratta di un bell’esempio di città murata in arenaria rossa estratta in loco, con ingressi imponenti ed aree private e pubbliche ben definite (le terrazze concentriche separano infatti, nettamente gli spazi pubblici da quelli privati del re).
L’architettura è un misto di stili indù (in particolare le colonne ornate, gli archi e gli intagli), preislamico, giainista e islamico e riflette la visione secolare di Akbar e il suo stile di governo. Ancora oggi l’accesso alla città è costituito da una strada dritta voluta dallo stesso imperatore, un tempo costellata da esotici bazar. Entrando a Sikri dall’Agra Gate, una delle nove entrate che portano al complesso del palazzo reale, si incontra la sala delle udienze pubbliche, un grande cortile murato dove venivano ascoltate le petizioni, ricevuti gli ambasciatori e si tenevano programmi d’intrattenimento.
In quest’area si può ancora oggi notare un gancio in pietra incassato nel pavimento. Si dice che l’elefante di Akbar, Hiran, veniva legato a questo gancio per schiacciare a morte sotto le sue zampe la testa dei colpevoli dei più svariati misfatti. Se l’animale si rifiutava di obbedire per tre volte di seguito, la vittima designata veniva liberata.
Tra gli edifici principali di Fatehpur Sikri, va annoverata la solenne moschea di Jami Masjid che servì da modello per altre moschee Moghul. L’esterno è modesto, ma l’interno mostra ricchi ornamenti floreali, arabeschi e fantasiose decorazioni geometriche. Il centro spirituale del complesso è la tomba e il luogo di eremitaggio del mistico sufi Salim Chishti, tanto popolare oggi quanto ai tempi di Akbar. Da quando una profezia del santo pose fine alla mancanza di figli di Akbar e della sua regina indù, Jodhabai, la tomba di Salim ha attratto folle di supplicanti, specialmente donne senza prole in cerca di un miracolo. I visitatori esprimono un desiderio, legano un filo di cotone alla grata marmorea della tomba e se ne vanno fiduciosi, confidando nella grazia che il santo sufi concederà loro come, a suo tempo, aveva concesso ad Akbar.
Di grande pregio artistico e monumentale anche il Panch Mahal, un padiglione a cinque piani, dove le donne dell’harem e a la loro servitù si godevano la fresca brezza serale, ammirando lo splendido panorama delle fortificazioni di Sikri. Abdul Fazl, storico della corte di Akbar, riporta che nell’harem reale c’erano più di 5mila donne, oltre ad un indefinito codazzo di inservienti, danzatrici e familiari. Centinaia, in particolare le schiave a servizio della prima regina e della principessa.. Nel cortile del Panch Mahal, il re Akbar giocava a “pachisi” (una sorta di scacchi) con danzatrici come pezzi viventi. La donna più rispettata dell’harem era la madre di Akbar, Hamida Banu Begun, vedova dell’imperatore Humayun. Il palazzo in cui viveva era chiamato Sunehra Makan (palazzo d’oro) per le pitture dorate sulle pareti, ormai svanite.
Akbar, il più grande imperatore Moghul, è tuttora sepolto nel mausoleo di Sikandra, un piccolo villaggio otto chilometri a nord-ovest di Agra. Si tratta di un complesso notevole e perfettamente equilibrato, che vede la tomba al centro di un ampio giardino murato. L’ingresso principale, a sud, è una magnifica struttura in arenaria rossa con un imponente arco centrale, decorato con vivaci mosaici policromi di marmo bianco, ardesia nera e pietre colorate. In ciascun angolo ci sono quattro graziosi minareti di marmo, predecessori di quelli del Taj Mahal. L’ampio giardino abitato da scimmiette è un tipico “charbagh”, un giardino cintato diviso in quattro sezioni (che rappresentano i quattro momenti della vita), da un sistema di viali sopraelevati, giardini incassati e canali. Un tempo, a differenza di quanto si vede oggi, la manutenzione del verde era impeccabile. L’intero contesto della tomba, rappresenta bene la filosofia di Akbar e la sua visione tollerante del mondo, della vita e della cultura, una visione che mescola motivi, stili e tradizioni islamici, indù, buddhisti, giainisti e cristiani, una mescolanza che fece grandi i Moghul e la loro eredità architettonica e artistica.