La laguna nord di Venezia

Itinerario La Barena

In barca con l’archeologo. Nel silenzio di antichi monasteri.

Un silenzio assoluto che obbliga ad ascoltare: lo sciabordio dell’acqua, il fruscio del vento tra i canneti, qualche granchio che cammina sul fango, un gabbiano che cerca compagnia.  La quiete aiuta poi a sentire anche quello che viene da dentro: l’amore per la natura, la ricerca di un momento di pace per riprendersi. La laguna di Venezia non è solo uno specchio d’acqua, è anche uno stato mentale che ti rimane dentro: la vicinanza all’acqua è all’uomo indispensabile, così come il ritorno ai ritmi lenti. Acqua e terra che si scambiano reciprocamente elementi e che definiscono anche una vegetazione a tratti aspra e grezza. A dare un tono caldo di colore, i fiori rossi della salicornia.

Tramonto con archeologo al lavoro

Le isole della laguna sono sempre state ospitali con l’uomo, lo dice anche la storia. I primi insediamenti umani, nelle isole, sono stati una necessità, un rifugio sicuro dove scappare. Con la caduta di Altino (localizzata nell’entro terra veneziano), nel V secolo d.C., gli abitanti hanno   trovato rifugio nelle isole della laguna, impossibili da raggiungere per chi si sapeva muovere solo via terra. All’inizio, un lembo di terra da coltivare e una capanna dove dormire. Poi la maestosità e la potenza della Serenissima è arrivata fin nei posti più sperduti della laguna: monasteri, chiese, imponenti strutture. Oggi non è cambiato nulla, si va nelle isole per cercare silenzio e pace.

UN VIAGGIO INDIETRO NEL TEMPO

Isola La Cura

Serve una barca per vistare la laguna di Venezia. Ed è bene ricordarlo. Non basta salire sul campanile più alto della città e guardare con il binocolo cosa c’è al di là del bacino di San Marco e contare le isole. Troppo facile. Serve anche la pazienza di fare un lungo viaggio indietro nel tempo. La laguna ha tanto da raccontare e i segni del tempo sono i casoni diroccati, un muro di mattoni che si intravvede sotto il fango, un tratto di cinta muraria, un campanile, bastioni di difesa. Ogni cosa è ancora al suo posto. La sabbia portata dal mare e la bassa vegetazione  hanno gentilmente coperto le cose più fragili. E’ l’archeologia che traccia un filo rosso unendo i cocci trovati sotto il fango, le pietre ancora perfettamente intatte, qualche perla di vetro colorato. Tanti tasselli di una storia ancora da ricostruire. Trovati tutti gli elementi, l’archeologia inizia a raccontare come sono andate le cose.

 GLI ARCHEOLOGI DELLA LAGUNA

Davide e la compagna Paola, archeologi, poco più che trentenni, propongono un viaggio nella laguna Nord di Venezia. Loro, che delle isole abbandonate conoscono tutti segreti, provano a raccontare il mestiere di “archeologo della laguna” mentre si fa una gita in barca, spingendosi fino a zone che persino pochi veneziani hanno mai visitato. E pensare che di alcune isole è incerta persino la proprietà. “Proponiamo uscite in barca in laguna – dicono Davide e Paola – per restituire ai visitatori tutto quello che noi archeologi scopriamo studiando i segni del passato. L’idea è quella di raccontare la laguna nord di Venezia attraverso l’archeologia. Lontani dal turismo di massa, stiamo studiando percorsi alternativi”. Si cammina poco e ci si muove in barca tra il silenzio delle isole.

La Arcomai Snc al lavoro in laguna

Saliti a Sant’Elena su un’imbarcazione di legno a fondo piatto, si lascia il centro storico di Venezia per dirigersi verso l’isola di San Giacomo in Paludo dove sono stati trovati i resti di antiche pavimentazioni e le fondazioni di un antico monastero. L’isola è attualmente sottoposta ad interventi di restauro degli edifici storici.  Un visita veloce e si riparte oltrepassando Burano e Torcello. Ecco che si vede l’isola abbandonata di Sant’Ariano: fa parte della scomparsa Costanziaco. Usata come ossario fino agli inizi del 1900, ospitava i resti dei vari cimiteri. Vi si può accedere solo previa autorizzazione. Una sosta all’isola di Santa Cristina (un tempo sede conventuale) e poi verso Santa Maria di Gaia dove si possono vedere i resti dell’antico monastero abbandonato nel 1400.“Provare la cucina tipica – aggiungono Davide e Paola – è un buon modo per avvicinarsi alla cultura di un posto”. Accettato l’invito, per pranzo si va all’agriturismo “La Barena”, in località Lio Maggiore. Specialità: risotto di gò, bisatto in umido, anguilla alla brace, schie con polenta, germano reale in umido o arrosto. Si scambiano due chiacchiere con i pescatori della zona, ancora molto legati alle tecniche di pesca originali, e con la gente del posto. Tante le valli da pesca in queste zone. Nel pomeriggio si rientra a Venezia passando per il piccolissimo borgo di Lio Piccolo, Cavallino e Treporti. C’è il tempo anche per uno sguardo alle isole di Sant’Erasmo e Vignole, da sempre gli orti dei veneziani. Oggi isole con pochissimi abitanti ancora legatissimi alle loro terre. Carciofi violetti, asparagi e vigne, qui crescono benissimo. La salsedine dell’acqua di mare e l’argilla, evidentemente, fanno bene alla terra. Il resto viene dal sole che scotta e da antichi gesti che si ripetono. Anche chi vive sull’acqua ha amore per la terra. A pochi metri, più in là, c’è il mare, ma quella è un’altra storia.

Foto aerea Santa Cristina

Per chi fosse interessato a partecipare a questa ed altre gite naturalistiche/archeologiche, a bordo di barche di legno, può contattare direttamente Davide Busato e Paola Sfameni, titolari della società Arcomai, www.arcomai.eu (Tel. 041-5232344). La gita per l’intera giornata, pranzo compreso, costa circa 70 euro. La visita alle isole è accompagnata da un naturalista e da un archeologo.

di Gioia Tiozzo

foto Davide Busato e Paola Sfameni.

zp8497586rq