Grecia: isole, mare, storia

Santorino, Oia

L’hostess, gentile e sorridente, percorre il lungo corridoio dell’aereo distribuendo giornali ai passeggeri. Io scelgo “Il Gazzettino”, il quotidiano della mia città, con cui già da anni collaboro ed i miei occhi si posano sorpresi sull’enorme bandiera americana, stampata a colori e a tutto campo sulla prima pagina del quotidiano. Oggi, 11 settembre 2002, si commemora il primo anniversario dell’attentato alle Torri Gemelle e la ricorrenza mi fa comprendere il motivo per cui io e Marco, nella ricerca di un volo per la Grecia, avessimo trovato posti liberi solo in questa data.

Atene, il Partenone

Evidentemente per suggestione, paura e superstizione molta gente ha preferito evitare di volare proprio l’11 settembre, temendo una replica di quel terribile giorno. La cosa più di tanto non turba né me né Marco che già pensiamo con entusiasmo alle prossime due settimane da trascorrere in Grecia. Non essendo particolarmente amanti, io soprattutto, di vita da spiaggia e di mare, abbiamo scelto di visitare quanto di più tipico, suggestivo e obiettivamente bello la Grecia offre ai suoi visitatori, ovvero Atene con la sua Acropoli, le Meteore, “i monasteri sospesi” in Tessaglia, Santorini, l’isola delle Cicladi che si erge scoscesa sulla caldera di un antico vulcano sprofondato nel mare e infine Rodi, la più orientale dell’Egeo, isola caratterizzata da un’impronta architettonica fortemente turca (le coste della Turchia distano meno di venti chilometri).

Siamo comodamente seduti in una taverna all’aperto del quartiere popolare della Plaka, gustando i nostri primi souvlaki, i saporiti spiedini di manzo accompagnati da insalata, pomodori e tzatziki, la salsa greca a base di yogurt, cetriolo, menta e aglio, quando sentiamo provenire da un tavolo vicino al nostro le parole concitate di una ragazza italiana.

Souvlaki

Ha appena trovato un’unghia dentro la sua insalata di patate, prosciutto e maionese e sta animatamente discutendo con il cameriere. Nonostante il piatto le venga prontamente sostituito, la ragazza spilucca appena il suo pranzo con aria disgustata, mentre io e Marco terminiamo soddisfatti i nostri spiedini marinati e cotti a puntino. In cuor mio decido comunque che, a prescindere dalla moussakas, lo sformato di melanzane, patate e carne trita, imperdibile in un viaggio in Grecia, mi dedicherò a piatti “leggibili” a prima vista e senza particolari intrugli e impasti che possano nascondere “ingredienti” a sorpresa. Con la pancia piena ci apprestiamo a risalire la collina che sovrasta la Plaka per visitare il sito simbolo di Atene e dell’intera Grecia, l’Acropoli, Patrimonio Mondiale dell’Umanità Unesco dal 1987. L’enorme complesso architettonico sorge su una collina rocciosa e comprende, oltre ai resti di importanti edifici, un museo dove, tra gli altri reperti, sono custoditi gli originali di cinque Cariatidi (la sesta è conservata al British Museum di Londra), misteriose ed affascinanti figure femminile che sostengono, al posto delle colonne, la loggia dell’Eretteo, tempio dedicato al sesto re di Atene.

Atene, Acropoli, le Cariatidi

Ammiriamo prima le sei copie che, avvolte nel sobrio peplo dorico, sostengono la loggia del santuario, conciliando, con eleganza, le esigenze estetiche con le regole della statica, e poi gli originali custoditi nel museo, cercando di cogliere, senza trovarle, le differenze nel marmo superbamente intagliato. Passeggiando nel sito ci soffermiamo ad osservare le rovine del tempio di Dioniso e il tempietto di Athena Nike prima di giungere all’opera più maestosa dell’Acropoli, il Partenone, simbolo duraturo dell’antica Grecia e della democrazia ateniese, capolavoro architettonico dedicato alla dea Athena, protettrice della città. Le sue lunghe fila di colonne doriche rievocano in me il ricordo di altri complessi architettonici dell’antica Grecia visitati anni prima in Sicilia, Selinunte, Segesta e la celebre Valle dei Templi di Agrigento. La sera, al ritorno, percorriamo la fitta rete di stradine brulicanti di negozi d’antiquariato e souvenir del quartiere de la Plaka dove sorge il tempio di Zeus Olimpio, il più grande della Grecia (supera per dimensioni perfino il Partenone), per poi fermarci in un bar all’aperto dove gli avventori sorseggiano l’ouzo, un distillato secco ad alta gradazione alcolica (40-50 gradi), ottenuto dal mosto di uva passita e aromatizzato con anice o, meno frequentemente, con liquirizia, menta o chiodi di garofano.

Atene, l’Acropoli vista da la Placa

All’ouzo bevuto allungato con acqua, come dissetante e aperitivo, preferiamo però un più innocuo caffè freddo, shakerato con ghiaccio, una bevanda oggi nota in tutto il mondo ma che fu inventata proprio in Grecia nel 1957. L’invenzione, del tutto casuale, avvenne durante la Fiera Internazionale di Salonicco, dove il rappresentante della multinazionale Nestlé in Grecia, Ioannis Dritsas, stava presentando un nuovo prodotto per bambini, una bevanda al cioccolato da preparare istantaneamente shakerando latte o acqua e cacao solubile con additivi vari (il Nesquik). L’impiegato Dimitrios Vakondios, aveva l’abitudine di bere caffè istantaneo della Nestlè e, non trovando acqua calda, pensò di usare lo shaker per prepararsi un caffè con l’acqua fredda. Mise in un contenitore caffè, zucchero acqua e ghiaccio, lo agitò creando il primo caffè frappé della storia, una delle bevande analcoliche più amate al mondo.

Il mattino successivo ritiriamo la nostra macchina a noleggio per raggiungere la pianura della Tessaglia, dove un raro fenomeno geologico ha creato imponenti rupi in arenaria alte oltre 500 metri che sembrano balzare fuori dalla piana tessala.

Tessagli uno dei monasteri delle Meteore

Denominate Meteore, dal verbo greco meteoros, che significa “ciò che sta in cielo, sospeso nell’aria”, queste sorprendenti e singolari sculture naturali divennero rifugio di eremiti già dall’XI secolo. Tre secoli dopo furono fondati i primi monasteri, in tutto 24, dove si ritirarono a pregare e a vivere appartati una moltitudine di monaci desiderosi di isolarsi dal mondo. Accessibili in passato solo mediante mulattiere, scale, argani (in certi casi ancora visibili sotto ai tetti) o addirittura grazie a grandi reti che i monaci issavano con una carrucola, oggi i sei monasteri rimasti, restaurati e tutti ancora abitati da monaci ortodossi, sono raggiungibili percorrendo una comoda strada asfaltata e una serie di scalinate che si inerpicano lungo le falesie. La sera fumo una sigaretta sul terrazzino del piccolo hotel di Kalambaka, cittadina alle porte delle Meteore, e resto abbagliata dallo straordinario paesaggio che si apre davanti ai miei occhi. Da qui i monasteri, posti sulle sommità arrotondate delle rupi non sono visibili ma il paesaggio, avvolto dalla penombra, si presenta come una selva di pareti nude e modellate nelle forme più strane dagli agenti atmosferici, ora dritte come lame taglienti, ora incise in enormi monoliti, isolati a mo’ di torri.

Tessagli, Meteore

Dedichiamo due giornate alla visita dei sei monasteri, uno dei quali abitato da monache, al cui interno sono custoditi pregevoli affreschi post-bizantini del XVI secolo, ricche biblioteche con preziosi manoscritti, icone e cimeli sacri, raffinate croci in legno scolpito ed epitaffi (paramenti che riproducono Cristo deposto) ricamati d’oro. In particolare, nel monastero di Baraàm restiamo affascinati da una splendida rappresentazione del Giudizio Universale dipinto nel 1566.

Meteore, monastero di Rossanou

All’ingresso di ciascun edificio religioso indosso divertita le ampie gonne in cotone colorato che mi vengono offerte per coprire i pantaloni, un abbigliamento qui vietato alle donne. Uno dopo l’altro visitiamo agevolmente tutti gli edifici, a parte Rossanou, monastero costruito su una guglia, il più ardito di tutti gli edifici della regione che, nell’antichità, si raggiungeva solo grazie ad una pericolante scala a mano. Vi accediamo con un po’ di patema d’animo, dopo aver risalito alcuni scalini di cemento e percorso due piccoli ponti sospesi, dall’apparenza solida, costruiti nel lontano 1930. Lasciamo la “foresta pietrificata” delle Meteore per ripercorrere a ritroso i 350 chilometri che ci dividono da Atene dove ci attende, il giorno successivo, l’aereo per Santorini. Sia io che Marco siamo da sempre grandi amanti delle sagre e delle feste paesane tradizionali e quindi non ci lasciamo scappare, lungo il tragitto, una sosta ad una fiera paesana dove gustiamo ottimi souvlaki di agnello e lunghe e aromatiche salsicce cotte direttamente sul fuoco. Siamo gli unici turisti tra decine di greci festanti.

Santorini, Oia

Un breve volo e atterriamo a Santorini (Thira). Abbiamo scelto per il nostro soggiorno non la caotica e iper turistica Fira, capitale dell’isola, bensì il suggestivo villaggio di Oia, che raggiungiamo in circa 45 minuti di taxi dall’aeroporto. Rinomato per la cascata di casette bianche e azzurre, i mulini a vento e gli straordinari tramonti sul mare, Oia sorge proprio sul bordo della caldera, l’antico cratere vulcanico sprofondato nel mare, il cui orlo, che si allunga a forma di anello, costituisce l’odierna Santorini, sopravvissuta all’eruzione vulcanica del 1510 a.C. Il nostro hotel è un gioiello di architettura tradizionale: la camera, dotata di finestra e di bagno privato, è ricavata da una nicchia nella roccia vulcanica imbiancata a calce e la colazione ci viene servita su una scenografica terrazza affacciata a strapiombo sull’azzurro della caldera. Kalliste (la più bella), come veniva denominata Santorini nell’antichità, visse un periodo di grande splendore terminato con l’eruzione vulcanica che fece sprofondare la parte centrale dell’isola, lasciando emergere dal mare solo la parte orientale dell’orlo del cratere. Alcuni studiosi ritengono che il mito di Atlantide, raccontato da Platone nel Quarto secolo a.C. sia legato non a una civiltà misteriosa, ma alla piccola isola delle Cicladi, una congettura poco probabile.

Santorini, Spiaggia Rossa

Molto più concreta la teoria che Jules Verne abbia scelto proprio Santorini come ambientazione dei suoi celebri “Ventimila leghe sotto i mari” e “L’isola misteriosa”, dove il Capitano Nemo ed il suo equipaggio assistono all’eruzione del vulcano, un’ipotesi avvalorata dal fatto che lo scrittore era in effetti tra i visitatori e gli scienziati che hanno assistito alle attività vulcaniche avvenute a Thira tra il 1866 ed il 1870.

Passeggiamo tra i vicoli tortuosi del paese, incontrando persino una sposa bianco-vestita a dorso di asinello, sostiamo nei bar delle pizzette pittoresche ed assolate, ammiriamo le cupole color turchese delle chiese e delle cappelle (solo oltre 400 gli edifici religiosi presenti sull’isola), visitiamo le rovine minoiche dell’antica Akrotiri ed il vicino faro a picco sulle scogliere, percorriamo a piedi la distanza che divide la capitale Fira dal villaggio di Imerovigli, il punto più alto del crinale della caldera e trascorriamo ore di relax sulla spiaggia rossa delimitata da imponenti scogliere e su quella nera di Kamari, una distesa di origine lavica lunga 5 chilometri.

Santorini, tramonto ad Oia

Ci concediamo un’intera giornata in barca alla scoperta delle isole minori, racchiuse nel bacino della caldera, prima di lasciare questo angolo di paradiso e salire su un altro aereo per raggiungere Rodi, la più grande delle isole del Dodecaneso, un tempo famosa per l’enorme statua di bronzo alta 32 metri eretta nel porto, il Colosso di Rodi, una delle sette meraviglie del mondo antico, crollata nel 276 a.C a causa di un terremoto. Soggiorniamo a Rodi, l’omonima capitale, nella parte settentrionale dell’isola, cittadina la cui parte antica, racchiusa dentro una cinta di mura medievale, è riconosciuta come Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’Unesco. Il primo giorno mi perdo nel groviglio di stradine piene di gente, riuscendo poi a ritrovare Marco solo al mio ritorno in hotel. Cupole e minareti, spuntano fra palme e platani nella città vecchia, dove visitiamo il Palazzo del Gran Maestro e la via dei Cavalieri, che ricordano l’epoca in cui Rodi fu conquistata dai Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, un ordine religioso intitolato a San Giovanni Battista, oggi noto come Ordine dei Cavalieri di Malta.

Rodi, il Palazzo del Gran Maestro

Entriamo nella Moschea di Solimano, la più grande dell’isola, fiancheggiata da vivaci bazar, scatto alcune foto ad un antico pozzo ricoperto di piastrelle raffiguranti pesce e crostacei e sormontato da due grandi cavallucci marini in bronzo; acquisto alcune spugne e altri piccoli souvenir e do da mangiare agli innumerevoli gatti che stazionano vicino al porto di Mandraki dove si stagliano tre scenografici mulini a vento.

Rodi, i mulini a vento del porto di Mandraki

Lasciamo la città di Rodi in macchina per sostare, dopo una ventina di chilometri nella Valle delle Farfalle, vicino alla cittadina di Petaloudes (farfalla, in greco), un’area boschiva, tra cascatelle, ruscelli e piante rigogliose dove, tra giugno e agosto, si radunano per riprodursi milioni di farfalle Panaxia Quadripunctuaria (Arlecchino punteggiato), attratte dalle particolari condizioni climatiche del luogo e dall’odore di vaniglia sprigionato dal Liquidambar orientalis, un albero della famiglia degli aceri. Nonostante al nostro arrivo la Valle sia scarsamente popolata da farfalle, il luogo resta una piacevole sosta prima di raggiungere la nostra meta successiva, il paese di Lindos, dove soggiorniamo per due giorni. Belle spiagge, casette bianche cubiche sovrastate dalla fortezza medievale che si erge maestosa in cima ad una collina, Lindos è famosa anche per l’antica Acropoli, dove Marco mi scatta una bella foto mentre poso tra le colonne del tempio dorico di Athena che si staglia tra l’azzurro del cielo ed il blu cobalto dell’Egeo.Ceniamo in un ristorantino con terrazza sul tetto, ammirando un ultimo tramonto mozzafiato e già penso che qui, in Grecia, forse un giorno ci tornerò per visitare altri luoghi, altre isole.

Rodi, Lindos