Induismo: non solo una religione ma anche uno stile di vita

La preoccupazione di un vero indù è in genere quella di ridurre il karma negativo e acquisire meriti (punya) conducendo una vita onesta, caritatevole e devota che si concili con le restrizioni imposte dalla casta, nella speranza di raggiungere una condizione più elevata nella vita successiva. Norme severe, alla base dei concetti di purezza e impurità, impongono agli indù delle caste superiori di limitare i contatti con i membri di quelle inferiori per non contaminare la loro presunta purezza. Tutte le secrezioni sono contaminanti. Questo spiega perché ogni mattina mi sveglio al suono non proprio piacevole dei prolungati gargarismi, conati autoindotti e abbondanti espettorazioni che provengono dalle stanze vicine. Qui sputacchiare è quasi un gesto di cortesia; non è insolito leggere in alcuni negozi più eleganti “please, don’t s spit”. Ma soffiarsi il naso e mettere il fazzoletto in tasca è una cosa di pessimo gusto per qualsiasi indiano. L’acqua è l’elemento purificatore per eccellenza. Chi può permettersene in quantità indugia volentieri in abluzioni, non solo prima della preghiera. Tutti i grandi fiumi dell’India sono venerati come divinità: il Gange, il Godavari, il Bramaputra e molti altri.

Nelle abitazioni, in una stanza o in un angolo adibiti a santuario, ogni giorno si venera la divinità prediletta e si leggono le sacre scritture. Fuori casa il culto è praticato nei templi dove si compie la puja, l’atto di devozione al dio. A volte si tratta di una semplice preghiera, ma spesso è un’attività più articolata: si deambula intorno all’immagine della divinità offrendo fiori, riso, zucchero e incenso e infine la si benedice con acqua, latte e pasta di sandalo (di solito è il pujari, il sacerdote, che se ne occupa). La puja viene compiuta allo scopo di ottenere il darsham, l’occhiata fugace del dio e ricevere così la sua benedizione. La puja può essere fine a se stessa per pura devozione nei confronti del dio o per chiedere un buon raccolto, un figlio, la guarigione, un bel monsone. I pujari celebrano i riti utilizzando il sanscrito, la lingua dei Veda, i più antichi testi religiosi dell’India. Quotidianamente prendono cura dell’immagine sacra con rituali in cui simbolicamente risvegliano, lavano, nutrono, vestono la divinità. Il rituale più importante è quello serale dell’arthi in cui si accendono lumi che passano tra i fedeli al suono di tamburi, gong, cembali.

Ogni tappa fondamentale della vita di un indù è occasione di preghiere, celebrazioni e banchetti: nascita, iniziazione (consacrazione dei ragazzi con l’applicazione intorno alla vita di un filo sacro e con un mantra sussurrato nell’orecchio), matrimonio, morte e cremazione.

L’evento più significativo nella vita di un indù è il matrimonio che simboleggia la purezza rituale; per le donne ha la stessa importanza dell’iniziazione maschile. I banchetti, i canti e le danze accompagnano gli sposi e le loro famiglie per una settimana prima e dopo il matrimonio. Durante il matrimonio vero e proprio la coppia cammina sette volte intorno a un fuoco sacro, mentre il bramino che officia la cerimonia legge alcuni versetti sacri. La dote viene ancora richiesta alla sposa nonostante i tentativi fatti per ridurne l’importanza.

di Alessandro Novello

foto Claudia Meschini

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