L’avventura imprenditoriale della comunità di Takeo, produttrice di riso e verdure biologiche e di pollame allevato naturalmente.
La Cambogia fu uno dei maggiori paesi esportatori di riso negli anni Sessanta. In questo periodo di relativa stabilità politica si raggiunse la quota di mezzo milione di tonnellate di prodotto esportato, una situazione rosea completamente ribaltata quando, nel 1965, si interruppero i rapporti con gli Usa. Fu l’inizio del lungo periodo di buio nel quale piombò la regione e, di conseguenza, anche la produzione risicola subì un forte rallentamento. La parabola discendente non si interruppe, tanto che negli anni Ottanta venne a crearsi un saldo produttivo negativo di 20.0000 tonnellate all’anno. Solo dal 1990 qualcosa incominciò a muoversi, con i primi aiuti internazionali volti a combattere carestie e gap tecnologico e ad aumentare la produzione. L’area attualmente destinata a risaia ammonta a 2,2 milioni di ettari, pari a circa il 90% del totale delle zone coltivate. Le principali località destinate alla risicoltura sono le province di Battambang, Siem Raep, Kampot, Kandal e Takeo, e i modelli produttivi possono essere ricondotti alle quattro tipologie classiche: riso irrigato naturalmente delle lowlands; riso irrigato naturalmente delle uplands; riso di acqua profonda; riso irrigato artificialmente.
Il riso delle lowlands costituisce l’86% del totale della produzione; l’irrigazione è assicurata dalle piogge monsoniche, la semina avviene in maggio-giugno e la mietitura a novembre-dicembre. Quasi tutti i piccoli produttori sono soliti ottenere i semi destinati all’impianto dalla precedente produzione del proprio campo e, sebbene esistano molteplici varietà locali, attualmente si privilegiano varietà sviluppate in cooperazione con organismi quali il Cambodian Agricultural Research and Development Institute o l’International Rice Research Institute (Irri), che garantiscono un livello qualitativo stabile.
Tutto ciò ha portato a un miglioramento dei risultati produttivi durante l’ultimo decennio e alla creazione di una rete non ufficiale di esportazione verso il Vietnam e la Thailandia. Se si aggiunge che il potenziale produttivo del Paese è incrementabile, vista la presenza di aree non ancora coltivate, si può comprendere come perfino l’Usda Foreign Agricultural Service abbia rilevato questa situazione, dandone risalto nel rapporto “Cambodia: grain and feed grain industry in 2006″. Il 2006 sarà ricordato in generale come l’anno in cui la produzione risicola cambogiana ha raggiunto livelli tali da riservarne una quota cospicua all’esportazione. L’incremento del raccolto, come ha asserito il ministro Chan Sarun, è dovuto alla concomitanza di diversi fattori, quali la situazione climatica favorevole, l’ammodernamento dei sistemi di irrigazione e la crescente scolarizzazione degli agricoltori, che ha portato a un uso più consapevole delle risorse e del territorio. Nella Cambogia rurale possedere tanto riso quanto basta per garantire il sostentamento del nucleo familiare significa non essere poveri o, meglio, raggiungere la sicurezza alimentare.
Il riso continua ancora oggi a essere fonte di sostentamento per la popolazione Khmer, e fornisce circa il 70% dell’apporto calorico giornaliero nella dieta comune. Benché i dati Fao dichiarino che dal 1995 esiste un surplus produttivo, ciò non significa che tutti i cambogiani abbiano cibo a sufficienza. Infatti il Paese presenta la più alta percentuale di malnutrizione infantile nell’area del Sudest Asiatico, e il 21% delle donne e dei bambini risulta essere sottopeso. Il consumo pro capite di riso è oggi di circa 189 chili all’anno, con tendenza al ribasso vista la crescente urbanizzazione della popolazione e il conseguente cambiamento delle abitudini alimentari. Oggi ogni famiglia possiede una quantità – più o meno elevata, secondo lo status sociale – di riso non brillato, lavorato di volta in volta secondo le esigenze del momento. Lo stesso che è venduto direttamente dai coltivatori a commercianti e contadini, entrando così a far parte di un micro mercato locale che sfugge alle statistiche. Oggi ogni famiglia possiede una quantità – più o meno elevata, secondo lo status sociale – di riso non brillato, lavorato di volta in volta secondo le esigenze del momento. Lo stesso che è venduto direttamente dai colticoltivatori a commercianti e contadini, entrando così a far parte di un micro mercato locale che sfugge alle statistiche.
LA COMUNITA’ DI TAKEO
Lo scenario nel quale si è formata un’associazione di produttori di riso biologico inclusi tra le comunità del cibo di Terra Madre è il villaggio di Taso, ubicato nella provincia di Takeo nel sudest del paese, nel cuore delle lowlands. Qui la popolazione ha da sempre fondato l’economia e l’alimentazione sulla monocoltura risicola, con tutte le problematiche conseguenti.
Referente della comunità è Or Thy, un giovane agricoltore che, tra uno scroscio di monsone e l’altro, ci aiuta a capire come sia nato il progetto e quale sia la situazione attuale. “Nel 2004 un piccolo gruppo di contadini – circa 10 persone – si associò in forma proto-cooperativa con lo scopo di unificare la fase di acquisto delle sementi e di vendita del riso coltivato, nonché dei prodotti di fattoria quali verdure e pollame in genere. Una vera e propria avventura che, iniziata in modo autonomo, si è trasformata in progetto quando i componenti decisero di aderire al protocollo Cedac destinato alla produzione di riso biologico. Il progetto oggi conta su 15 produttori risicoli appartenenti a ben 38 nuclei familiari riuniti in un’associazione, ogni membro della quale dispone di circa 0,5 ettari, per un totale di otto ettari di coltivato. L’adozione del protocollo Cedac ha determinato molti cambiamenti, in particolare l’aumento della produttività dei campi. Si è passati da una resa produttiva di 2 tonnellate per ettaro, dovuta principalmente al fermo della stagione secca, alle attuali 3,5 tonnellate, con una previsione di raggiungere le 4 tonnellate in tempi brevi. A tale risultato si è giunti adottando il system of rice intensification (Sri), che comprende una serie di attività che partono dal controllo di qualità dei semi fino alle tecniche di impianto in risaia, garantendo ai coltivatori uno stato di relativo benessere. Un ulteriore aiuto viene dal natural agri-product marketing support (Nap) che assicura ai piccoli produttori un potere contrattuale maggiore in fase di vendita del prodotto, che per le sue caratteristiche è inserito in fascia premium, ovvero di alta qualità.
Obiettivo finale è la commercializzazione del prodotto, e Or Thy sottolinea come la creazione di un punto vendita Nap a Phnom Penh, dove sono proposti i prodotti di Taso, abbia permesso di vendere lo scorso anno 173 tonnellate di riso biologico, proveniente anche da altre realtà contadine, e 2,5 tonnellate di verdura biologica. Il prezzo del riso si è stabilizzato intorno agli 850 riel al chilo (1 dollaro = 4000 riel circa), quotazione più alta del 25% circa rispetto all’anno precedente.
Non solo riso, comunque. Obiettivo dell’associazione è l’incremento della produzione di verdure biologiche e pollame allevato naturalmente. Inoltre è in fase di realizzazione il progetto di impianto di palme da olio, nell’ottica della diversificazione della produzione. L’esperienza della partecipazione all’ultima edizione di Terra Madre è stata per Or Thy fantastica. “Non avrei mai immaginato di incontrare così tante persone interessate alla nostra storia e al futuro di Taso; inoltre ho avuto la possibilità di incontrare molti altri rappresentanti di piccole realtà produttive con i quali ho condiviso esperienze e aspettative. Peccato che sia finito tutto così in fretta, avrei voluto rimanere a Torino più a lungo“.
a cura di Slow Food