Josè Antonio Garcia Calvo, il pellegrino dei record

Per voto ha visitato tutti i santuari mariani del mondo raggiungibili a piedi.

Venezia è stata una delle ultime tappe del suo lungo viaggio. Perché ormai il vecchio marinaio è stanco, e dopo aver fatto la bellezza di ottantacinquemila chilometri a piedi in otto anni, rispettando il voto di visitare tutti i santuari mariani del mondo raggiungibili camminando, ha deciso di tornare a casa, a Cadice, la sua città natale nel sud della Spagna, per riabbracciare la figlia e una nipotina di quattro anni che non ha mai visto.

Il santuario di Jasna Gòra in Polonia

Il suo lungo viaggio l’ha portato ad incontrare il Papa e il Dalai Lama, ad attraversare a piedi lo stretto di Bering ghiacciato, ad essere torturato dai militari in Siria, a vedere la miseria delle strade di Calcutta e a ricevere, infine, un passaggio in Lamborghini.

Tuttavia, fa un certo effetto la semplicità con cui Josè Antonio Garcia Calvo, 58 anni, ex marinaio spagnolo dal sorriso perenne in un volto bruciato dal sole, annuncia la sua decisione di porre termine alla sua straordinaria avventura. “Sono stanco” la sua unica spiegazione. La stessa che diede Forrest Gump, nell’omonimo film, quando decise di smettere di correre da un capo all’altro dell’America. Ma finiscono qui le similitudini tra Josè e Forrest Gump. Perché al “geniale” tonto del film di Zemeckis le situazioni capitano per caso, mentre Josè la sua avventura è andata a cercarsela, passo dopo passo. Ed è un’avventura innanzitutto spirituale, che fa di Josè un pellegrino, prima ancora che un viaggiatore.

Josè Antonio Garcia Calvo

Nonostante la sua scelta di vita, che si contrappone ad una società sempre più materialistica, Josè è indissolubilmente figlio del nostro tempo, fatto di comunicazione immediata e globale. Nel suo infinito pellegrinaggio non ha infatti rinunciato alla tecnologia, e ha girato il mondo con in tasca un cellulare, regalatogli da chissà chi, e con le schede sim di ogni nazione in cui è arrivato. Inoltre, non si è mai separato da una piccola macchina fotografica digitale, anch’essa un regalo, e le sue foto vengono regolarmente messe in rete da una famiglia olandese che gli dedica un’intera sezione del proprio sito personale (www.fonhof.nl).

Nel suo enorme zaino, Antonio conserva le prove della sua impresa: i timbri di tutti i comuni che ha visitato e gli articoli che i giornali gli hanno dedicato, a partire da quelli relativi al terribile naufragio, da cui si salvò miracolosamente, che lo ha portato al voto alla Vergine, promessa all’origine del suo pellegrinare per il mondo, come ci racconta lui stesso: “era la notte del Capodanno del 1999 e il peschereccio norvegese sul quale ero imbarcato come cuoco naufragò nel Mare del Nord. Fui l’unico superstite su diciassette membri dell’equipaggio. Riuscii a tenermi a galla aggrappato ai corpi di due miei compagni annegati. Passai dodici ore nell’acqua gelida, l’esperienza peggiore della mia vita. In certi momenti pensai di lasciare i corpi e andare a fondo, farla finita anch’io. Ormai non ce la facevo più quando arrivò un elicottero dei soccorsi che mi salvò.

Venni trasportato in un ospedale in Islanda, passai otto mesi in una camera iperbarica. Durante il ricovero i medici mi ripetevano continuamente che non avrei più riacquistato l’uso delle gambe. I danni provocati dal congelamento erano stati troppo gravi, e solo un miracolo avrebbe potuto farmi camminare di nuovo. Lo chiesi alla Madonna del Carmelo, la protettrice dei pescatori, quel miracolo. Sono cattolico, ma fino ad allora non ero stato molto devoto, ma in certi momenti qualunque speranza va bene. Promisi che se mi avesse ridato l’uso delle gambe, le avrei usate per visitare a piedi tutti i santuari che le sono dedicati nel mondo. E la Madonna decise di recuperare alla fede una pecorella smarrita. Quando mossi i miei primi passi in ospedale i medici non volevano credere a quello che vedevano. Il primario diceva che era impossibile che io camminassi, sembrava quasi che gli dispiacesse. Ma io camminavo, era quello l’importante. Passai altri quattro mesi in ospedale. E dopo un anno dal mio ingresso mi dimisero. Ora dovevo mantenere fede alla promessa che avevo fatto.

Da dove è iniziato il suo viaggio?

Josè Antonio Garcia Calvo

Da Cadice, la mia città natale, dove mi riportarono dopo le dimissioni dall’ospedale. Pochi giorni dopo essere tornato a casa partii per Santiago de Compostela, ma lungo la strada mi fermavo in ogni luogo in cui ci fosse un tempio, una chiesetta, un’edicola dedicata alla Vergine. Poi ripartii per Fatima, in Portogallo, e da lì di nuovo verso Lourdes. Poi attraversai tutta Europa per arrivare prima  in Bosnia, al santuario di Medjugorie, e poi in Polonia, a Czestochowa, dove c’è un santuario che era molto caro a Papa Giovanni Paolo II. Da lì, attraverso Russia e Finlandia, tornai sulle coste della Norvegia, e vidi di nuovo il mare dove ero naufragato. Non tornerò mai più sul mare. Troppi brutti ricordi.

I suoi familiari come presero la sua decisione?

Mia moglie mi ha lasciato venticinque anni fa. Mi aveva detto che usciva a prendere le sigarette ma forse ancora non ha trovato il tabaccaio. Mia figlia, invece, mi ha incoraggiato. Ha detto che facevo bene a rispettare il mio voto, e che se lo avessi fatto sarebbe stata fiera di me.

Qual’è stato il luogo più affascinante che ha visitato?

Ne ho visti talmente tanti. Forse le steppe siberiane, la loro immensità ti stordisce, ti affascina, ti fa capire che c’è un Dio. Sono arrivato fino allo stretto di Bering in pieno inverno, alla punta estrema dell’Asia. Era ghiacciato e ho provato ad attraversarlo. Volevo andare dalla Russia all’Alaska a piedi come fecero trentamila anni fa i primi uomini che arrivarono in America. Ero coperto di grasso di foca e avevo addosso un giaccone e degli stivali che mi erano stati regalati da un pescatore russo. Altri marinai mi avevano regalato una tenda, un fornelletto, il sacco a pelo, del cibo e una bottiglia di vodka. Purtroppo, dopo tre giorni di cammino a venti gradi sotto zero, i ghiacci si interrompevano. Un’imbarcazione della guardia costiera degli Stati Uniti, avvertita dai loro colleghi russi, arrivò a prendermi. Ma io avevo fatto voto di viaggiare solo a piedi, e rinunciai. Per questo non ho mai visto l’America. Intanto, mentre tornavo indietro, il cielo, che era sempre stato coperto, si aprì, e venne fuori uno straordinario arcobaleno. Lo presi come un segno, come se qualcuno volesse dirmi che la mia scelta di non proseguire in barca fosse stata giusta.

Il santuario di Medjugorie in Bosnia

E dove ha vissuto i pericoli maggiori?

In Medio Oriente. Ero stato a Gerusalemme e decisi di andare in Iraq, attraversando il deserto Giordano. Ero insieme a dei gruppi di pacifisti sperando che la nostra presenza evitasse l’attacco a quella povera nazione. Quando la guerra scoppiò lasciai il Paese, a piedi, attraversai il deserto e mentre camminavo vedevo i caccia americani sfrecciare nel cielo. Bombardarono una cittadina a pochi chilometri da me. Arrivato in Siria mi catturò una pattuglia di soldati. Mi dicevano che avevo fatto delle fotografie ad una installazione militare, io cercai di spiegargli che non sapevo che lì ci fosse una base dell’esercito. Mi picchiarono per una notte intera. Il momento peggiore fu quando iniziarono a colpirmi le gambe con i calci dei fucili. Ebbi di nuovo il terrore di perdere l’uso delle gambe, di trovarmi di nuovo paralizzato. Il giorno dopo intervenne l’ambasciata spagnola. I militari siriani mi portarono al confine con la Turchia e mi lasciarono andare. Però io resto convinto che siano solo tre i veri pericoli per un pellegrino.

Il santuario di Fatima in Portogallo

E quali sono?

I ladri, i cani senza catena e i preti.

Anche i preti? E perché?

Perché sono quelli da cui è più difficile avere ospitalità. A volte penso che io sono cattolico non praticante e loro sono praticanti non cattolici. Se sono riuscito a portare a termine il mio voto non è stato per merito loro, ma di tantissima gente che mi ha ospitato, mi ha dato da mangiare, mi ha regalato qualcosa. Qui a Venezia ho incontrato tre ragazzi che, come tanti altri, mi hanno offerto una pizza e una birra. E mi hanno pagato una notte in ostello. E grazie a loro se sono riuscito a visitare il santuario della Madonna della Salute.

Tuttavia, lei conserva un ottimo ricordo di Giovanni Paolo II

Ho avuto la fortuna di essere ricevuto da Papa Wojtyla grazie all’intervento del suo portavoce, lo spagnolo Joaquìn Navarro Valls. Aveva saputo che ero stato a Roma per la Pasqua e chiese alla polizia di rintracciarmi. La polizia mi trovò a Civitavecchia e mi portarono dal Papa a bordo di una Lamborghini. Mi dissero che era una delle due Lamborghini che ha in dotazione la polizia italiana ed è stato il mezzo più veloce sul quale ho mai viaggiato.

Come fu l’incontro con il Papa?    

Fu un grande momento di spiritualità. Giovanni Paolo mi disse che ammirava la mia devozione alla Madonna e che se fosse stato più giovane avrebbe voluto fare il cammino di Santiago insieme a me. Un altro incontro importantissimo è stato quello con il Dalai Lama. Lo incontrai una prima volta quasi per caso, a Dhaka, la capitale del Bangladesh. Poi sono andato fino alla sua residenza, sull’Himalaya, al confine tra l’India e il Tibet cinese. Lì ho vissuto per un mese e l’ho incontrato più volte. Con il Dalai Lama ho sempre avuto colloqui molto brevi, ma che sapevano infondermi una grande pace. E poco prima che andassi via mi ha detto che ogni essere umano dovrebbe effettuare almeno un pellegrinaggio nella sua vita.

Il santuario di Jasna Gòra in Polonia

Ed ora il ritorno a casa…

Si, sono stanco. Penso di aver assolto al mio voto ed inizio ad avere nostalgia della mia famiglia. Qualche giorno fa ero in un campeggio vicino a Loreto e un ragazzo con la chitarra ha cantato una canzone spagnola. Mi sono commosso. Non mi era mai capitato prima e ho capito che davvero è giunto il momento di tornare a casa, a Puerto de Santa Maria, una cittadina vicino Cadice, per abbracciare la mia nipotina che non ho mai visto. Poi, chissà…Forse scriverò un libro sul mio pellegrinaggio.

di Pierluigi Tamburrini

foto, gentile concessione dell’agenzia Fotoattualità di Venezia

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