“La luce è l’essenza della fotografia – letteralmente “scrittura di luce” – per me è la fonte della magia, l’incanto, quel non so-che della fotografia”. Sabine Weiss. La grande fotografa svizzera nella sua retrospettiva postuma “La poesia dell’istante”, allestita alla Casa dei Tre Oci, a Venezia, intreccia tagli di luce, ombre, geometrie e punti di fuga per dar vita ad un’emozione che rende eterno un istante. Anche per me, che non sono una fotografa, ma cerco comunque di immortalare la bellezza di un momento troppo spesso fugace, la luce è fondamentale, imprescindibile.
Ed è la luce, calda, radente, fuggevole che ha illuminato, all’improvviso, le vestigia di Clonmacnoise, tra i più celebrati luoghi sacri d’Irlanda, ad aver reso indimenticabile la visita di questo sito meta di pellegrinaggi fin dal VII secolo. Situato in un’ansa del fiume Shannon, oggi il monastero di Clonmacnoise è ciò che rimane di uno dei siti religiosi più importanti d’Irlanda, terra di santi cristiani. Ci giungiamo in macchina, al tramonto, sotto un cielo carico di nuvole grigie, il parcheggio è vuoto, a parte un’auto con un uomo seduto a bordo. Osserviamo con disappunto il cancello chiuso, l’orario di visita al sito è ormai terminato. Non mi lascio perdere d’animo e decido di scavalcare il muricciolo e visitare in velocità il complesso monastico che raggruppa al suo interno i resti della cattedrale, alcune chiese minori, una torre cilindrica alta 20 metri, visibile a chilometri di distanza e che, un tempo fungeva da campanile, oltre a tre enormi croci celtiche, tipiche dei luoghi di culto irlandesi. L’erba verdissima d’Irlanda emette un fruscio lieve, mossa dalla brezza, le croci celtiche (una croce romana circondata da un cerchio che deriva da un antico culto dedicato al sole) si stagliano contro il cielo plumbeo e tutto sembra immerso in un’atmosfera arcaica, quasi magica.
All’improvviso le nuvole si squarciano ed i raggi di sole illuminano i resti dell’eremo che fu un importante centro culturale e universitario durante il Medioevo.
Scatto foto a ripetizione, travolta dalla frenesia e dalla bellezza del momento, poi sento Anna, rimasta in macchina, che mi richiama facendo suonare il claxon dell’auto. La intimorisce la presenza dell’uomo solitario che continua a restare seduto in macchina in apparente attesa, la raggiungo e le do il cambio in auto, anche lei non deve perdersi la visione, così unica e inaspettata, delle millenarie pietre grigie intagliate dall’arte degli scalpellini medievali, illuminate dai raggi radenti del sole. Quegli stessi arcaici disegni celtici li avrei poi ritrovati, nel corso del viaggio, impressi su svariati oggetti come le scatoline porta pillole in argento e smalto, elegante souvenir del mio viaggio in Irlanda.
Il nostro viaggio in Irlanda era iniziato solo qualche giorno prima, all’aeroporto di Dublino dove, purtroppo, insieme a noi, non era atterrata la mia valigia. In calzettoni, sandali estivi e una giacca che Anna mi ha prestato torniamo, in tarda serata, a ritirare il bagaglio che, per fortuna, giunge con il volo successivo al nostro. Visitare Dublino è semplice, quasi ogni punto di interesse si trova vicino al centro della città caratterizzato da grandi edifici in stile georgiano e vittoriano. In centro sono la semplice e bellissima cattedrale di San Patrizio, in gran parte risalente al XII secolo e il Trinity Collage, l’ateneo che ospita il Book of Kells, ritenuto da molti il libro più bello del mondo, una splendida versione di 600 pagine dei quattro vangeli eseguita dai monaci dell’Abbazia di Kells, primo esempio al mondo di codice miniato.
Osserviamo affascinate il libro posto sotto una teca in vetro. Le pagine scelte per l’esposizione vengono cambiate dopo alcuni mesi per evitare che il manoscritto e le sue illustrazioni a colori possano sbiadire a causa di una esposizione prolungata alla luce. La zona a ovest del Trynity Collage, un tempo caduta così in degrado che nessuno voleva più viverci o lavorarci o tanto meno visitarla per turismo, oggi, grazie al Gruppo 91, una banda di giovani architetti è diventata il posto più alla moda di Dublino, con il suo amalgama di teatri, gallerie, edifici arancione o blu mare e tetti dalle forme aguzze come i cappelli di un punk o i balconi ricurvi o a zig zag.
Altrettanto divertenti e colorate la fila di edifici fiancheggiate da colonne e sormontate da lunette con fini ed elaborate decori che caratterizzano Merrion Street e Merrion Square. Innumerevoli le foto che scatto alle sgargianti porte, ognuna caratterizzata un colore diverso. In autobus raggiungiamo il vicino castello di Malahide, dimora della famiglia Talbotb per circa otto secoli: una visione romantica di torrette e bastioni, su un nucleo di edifici di epoca normanna, il tutto immerso nel verde di cento ettari di parco che le perturbazioni atlantiche, tipiche dell’isola, rendono magnificamente rigoglioso.
Nel piccolo ristorante attiguo al castello gusto una torta salata che sarebbe poi entrata a pieno merito tra le mie “ricette dal mondo”: una delicata e fragrante pasta sfoglia che racchiude al suo interno un morbido e profumato impasto a base di salmone affumicato, asparagi e porro. Affittiamo una macchina per visitare alcuni luoghi imperdibili durante un viaggio in Irlanda, raggiungendo, in tarda serata Galway, sulla costa occidentale, dopo aver vissuto l’indimenticabile esperienza al monastero di Clonmacnoise. Forse una delle cittadine più vitali d’Irlanda, Galway fu sede di una fortezza e di un porto voluti dagli Anglo-Normanni del XVIII secolo. Passeggiamo lungo la strada principale che cambia più volte il nome lungo la quale ci colpiscono innumerevoli casette colorate o a graticcio, ci fermiamo ad osservare i pescatori che, indossando alti stivali in gomma, pescano salmoni in mezzo al Corrib, brevissimo fiume di appena sei chilometri di tragitto che attraversa la città per poi sfociare nella baia di Galway dove, affacciato su un’ansa dell’oceano si erge solitario e affascinante il castello cinquecentesco di Dunguaire.
Immerso in un bellissimo scenario battuto dal vento, Dunguaire è uno dei castelli più fotografati d’Irlanda grazie anche alla sua posizione scenografica a due passi dalle Cliffs of Moher, le più note scogliere d’Irlanda. Il maniero in pietra ha conservato negli anni il suo fascino tanto da diventare luogo di banchetti, ma noi ci accontentiamo, dopo aver ammirato i limitrofi cottage dai tetti di paglia ed i muretti di roccia a secco così tipici dell’Irlanda rurale, di mangiare in un accogliente pub il nostro primo stufato di agnello irlandese, un piatto contenente quattro ingredienti principali: testina di montone, patate, cipolle e carote. Qui, come altrove, non manca su nessun tavolo, a parte il nostro, la famosa birra scura dal sapore forte e spuma cremosa, spillata con lentezza dal barile o servita in bottiglia.
Sulla baia di Galway ci attende, il mattino successivo, uno dei motivi che mi hanno personalmente spinto a visitare l’Irlanda: le Cliffs of Moher, ovvero una delle cartoline più belle e impressionanti d’Europa. Mentre gli alti marosi schiaffeggiano le imperturbabili scogliere a picco sull’Atlantico, centinaia di uccelli marini volteggiano in cielo e paiono giocare con le creste bianche e gli zampilli del mare.
Oltre 200 metri di sculture naturali in strati di pietra a lastre e scisto su cui domina la O’ Brien’s Tower, punto panoramico d’epoca vittoriana. Io ed Anna ci separiamo per percorrere, in base alle nostre diverse andature (la mia più lenta per via delle tante foto e dell’inesperienza lungo i cammini agresti), i due diversi sentieri che costeggiano le scogliere e si diramano tra prati verdi punteggiati da margherite e fiorellini di un bel giallo acceso. Ci rincontriamo poi casualmente, entrambe affacciate al limitare dello strapiombo, ad ammirare, con circospetta apprensione, per via delle improvvise folate di vento, i marosi che si infrangono sulla pietra grigia. Prima di lasciare il sud-ovest per dirigerci verso l’estremo sud del Paese, visitiamo Bunratty Castle, un castello eretto intorno al 1460 e restaurato in modo un po’ troppo evidente per accogliere i consueti “banchetti medioevali”, durante i quali si tracanna idromele e ci si abbuffa (con le mani), mentre alcuni menestrelli intrattengono i commensali con le loro serenate. Adiacente al maniero si apre il Bunratty Folk Park, un paese irlandese dell’Ottocento ricostruito, disposto su 10 ettari di terreno. Girovaghiamo divertite tra cottage dai tetti di paglia circondati da minuscoli giardini fioriti, botteghe, piccoli negozi e pub, ammirando maniscalchi, tessitori, filatrici e burrai che infondono vita a questi luoghi. Una piccola deviazione ci consente poi di visitare Adare, paesino in perfetto stile inglese, pieno di colori e perfettamente conservato, prima di raggiungere per la notte la cittadina di Killarney, punto di partenza e di arrivo del Ring of Kerry, una strada panoramica che costeggia la penisola di Iveragh nel sud-ovest della contea Kerry.
Il percorso circolare di 179 chilometri si snoda tra aspri e verdeggianti paesaggi costieri e villaggi rurali sul mare. Dedichiamo un’intera giornata alla visita di questa famosa strada ad anello che attraversa un meraviglioso susseguirsi di baie, scogliere, boschi, vallate, laghi, fiumi. Il Ring of Kerry è l’esempio tipico del paesaggio irlandese: dolce e verde campagna che degrada lentamente verso il mare, deliziose baie di sabbia o di ciottoli, impreziosite da piccole dune battute dal vento, meravigliosi panorami punteggiati da eleganti cottage. Sostiamo a Waterville, località balneare e golfistica, luogo di villeggiatura prediletto da Charlie Chaplin, a cui infatti è dedicata una statua sul lungomare, ci lasciamo cullare dalla tranquillità del luogo fino a raggiungere, percorrendo una strada rialzata, Valentia Island, una bella isola che ci appare pressoché deserta se non per un paio di bar e di negozietti di oggettistica marinara. Prima di raggiungere la bella cittadina di Kilkenny, tappa intermedia che ci riporterà a Dublino, visitiamo, sotto la pioggia battente, Rock of Cashel, cittadella circondata da torri, guglie e frontoni a punta.
Costruita su una collinetta di pietra arenaria durante il primo millennio, la rocca è legata a due suggestive e divertenti leggende: il Diavolo che aveva appena assaggiato un boccone della catena montuosa Slive Bloom Mountains (ancora oggi il posto si chiama Devil’s Bit, morso del Diavolo), vide San Patrizio mentre si accingeva a erigere una chiesa nella Golden Valley. Disgustato sputò il boccone che atterrò, dopo un bel volo, a Cashel. E fu poi nella cittadella nata da uno sputo che il Santo patrono d’Irlanda battezzò nel 450 Re Aengus. Durante la cerimonia d’investimento che, come consuetudine si svolgeva in acqua, inavvertitamente San Patrizio punse con il pastorale il piede del re. Lo stoico sovrano non batté ciglio pensando che il santo lo stesse mettendo alla prova. A San Patrizio si lega anche un’altra leggenda, quella del trifoglio, diventato poi uno dei simboli d’Irlanda: il Santo riuscì a far comprendere il significato della trinità per mezzo di un trifoglio ad un re originario del Munster, nel sud-ovest dell’Isola. Re Aengus divenne così il primo re cristiano d’Irlanda.
Suggestionate dall’alone magico del luogo visitiamo prima gli interni freddi della cattedrale dedicata al Santo che hanno perduto la copertura del tetto e risuonano forti al grido delle cornacchie, poi la cappella di Comarc, il più antico esempio di chiesa romanica in Irlanda, dove la pietra color rosa crea un piacevole contrasto con il grigio della grande cattedrale che si profila alle sue spalle. Altrettanto suggestivi gli edifici principali di Kilkenny, la cittadina medioevale meglio conservata d’Irlanda. Finalmente il sole torna a baciare le facciate dei vecchi edifici, la Black Abbey con le sue splendide vetrate medievali ed il castello in arenaria grigia affacciato sul fiume Nore e, serpeggiando si insinua tra i vicoli pittoreschi. In uno di questi si trova un edificio ricco di storia, la locanda Kyteler’s Inn, risalente al Duecento. Fu in questa casa che nacque Alice Kyteler, la famosa strega di Kilkenny, una giovane che nel 1324 fu accusata di stregoneria per aver ripetutamente rinnegato la fede cristiana, compiuto riti magici ed offerto sacrifici ai demoni uccidendo e smembrando animali.
L’ultimo giorno di viaggio lo dedichiamo ancora ad un castello, quello di Dublino che visitiamo dopo essere ritornate nella capitale e aver lasciato la macchina presa in affitto. Per sette secoli simbolo del dominio inglese sull’Irlanda, il Dublin Castle, ha camuffato per lungo tempo il severo aspetto medievale con più sobri mattoni d’epoca vittoriana. Visitiamo gli sfarzosi appartamenti di Stato settecenteschi, utilizzati a volte ancora oggi per intrattenere i dignitari stranieri, la Chester Beatty Library, che raccoglie migliaia di manoscritti religiosi oltre a libri, mappe ed oggetti vari e la splendida sezione di arte decorativa di Cina e Giappone conservata nella Gallery of Oriental Art, rilassandoci poi nel parco del castello. Ed è qui che Anna decide di “seppellire” le sue ormai semi distrutte scarpe da ginnastica. Una siepe di bosso, accoglie le vecchie calzature a cui la mia amica è però molto affezionata: “non sarà ecologico né eticamente coretto ma preferisco “riposino” qui, in terra d’Irlanda, davanti ad un castello e non in una discarica in Italia”, commenta convinta sfoderando uno dei suoi irresistibili sorrisi sornioni.
di Claudia Meschini