Turchia: da Istanbul ai Camini delle Fate

Cascate di Pamukkale

Fin da piccolo ho pensato alla Turchia come se fosse al confine del nostro mondo eurocentrico, e ho sempre ammirato i viaggiatori, gli esploratori e i commercianti che vi transitavano per poi dirigersi verso mete più lontane. Sulle sue piste sono infatti transitate, per millenni, le carovane, dirette in Asia sulla Via della Seta. Vero paradiso per archeologi e appassionati di antiche civiltà: vi sono 3.000 siti archeologici, vi sono passate 18 civiltà, la Turchia è sempre stato un passaggio obbligato da e per l’Oriente e anche oggi svolge il suo ruolo per così dire di “intermediario”. Quindi un ponte naturale tra l’Europa e l’Asia tra est e ovest: un ponte che, purtroppo, a volte, trema a causa delle scosse sismiche.

Istanbul, Moschea Blu, interno

Il mio viaggio inizia da Istanbul (Bisanzio fino al 330, Costantinopoli sino al 1760), città divisa in tre parti: la penisola storica a sud del Corno d’Oro, il quartiere di Galata (la città nuova) a nord del Corno. Entrambe sono nel continente europeo. La terza parte si trova in Asia, dall’altra parte del Bosforo (Bogaziçi) ed è più che altro zona residenziale (ha anche diverso prefisso telefonico). Istanbul è una grande metropoli di oltre 8 milioni di abitanti affacciata sul Bosforo, lo stretto che unisce il Mar Nero e il Mar di Marmara. Osservando il panorama si può ammirare l’inconfondibile, direi unica, elegante silhouette della città dove risaltano le cupole semi schiacciate delle moschee. Il tulipano, importato originariamente dall’Asia, è il simbolo di Istanbul, una città molto ricca di spazi verdi. Simbolo architettonico sono invece le moschee che in turco si dice Cami e sono sempre state costruite con le offerte dei cittadini e non dallo Stato. La moschea di Solimano il Magnifico è stata costruita nel XVI secolo durante il periodo di massima espansione dell’impero ottomano dal famoso architetto turco Sinan (1489-1588) chiamato anche il Brunelleschi dell’architettura ottomana classica.

Istanbul, Moschea di Santa Sofia

A distanza di 100 anni fu edificata la Moschea Blu con il medesimo stile; ha quattro colonne gigantesche chiamate “piedi d’elefante”, con un diametro di cinque metri, esse consentono una vista migliore rispetto alle moschee con numerosissime piccole colonne. I Turchi si convertirono al musulmanesimo nel IX secolo d.C. e presero le forme delle moschee dalla Persia (cupola, semi cupole e i quattro minareti). Sulla sommità della cupola delle moschee vi è la mezzaluna in ottone simbolo della religione musulmana. La Moschea Blu è la più importante di Istanbul. Il suo nome in lingua turca è Sultanahmet Camii, ovvero Moschea del Sultano Ahmed e venne inaugurata nel 1617 durante il mandato di Mustafa I, possiede sei minareti, un fatto che all’epoca della sua costruzione scatenò una certa polemica, giacché era lo stesso numero di torri della Mecca. Posteriormente, per placare gli animi dei fedeli, alla Mecca venne aggiunto un settimo minareto. Entrando nella Moschea Blu si comprende subito il perché del suo nome: più di 20.000 piastrelle di ceramica turchese adornano le pareti superiori e la cupola della moschea.

Santa Sofia, costruzione sul retro

L’illuminazione proviene dalle oltre 200 vetrate e dai lampadari che pendono dal tetto. La dirimpettaia Moschea di Santa Sofia, uno degli edifici più ammirati di Istanbul, si affaccia sulle acque azzurre del Bosforo ed è circondata da splendidi giardini con una grande fontana. Santa Sofia (Divina Sapienza) iniziata nel 532 fu terminata in soli 5 anni, dall’Imperatore Giustiniano ed è la quinta più grande del mondo; prima chiesa bizantina, poi moschea, nel 1923 per opera di Atatürk divenne museo e quindi vi si può accedere senza togliersi le scarpe. All’interno mostra tutto il suo splendore: vi sono alcune colonne di marmo verde proveniente da Efeso, due di porfido rosso del Libano. Le pareti sono abbellite da splendidi mosaici a fondo oro. Attirano subito l’attenzione alcuni grandissimi medaglioni a fondo verde con scritte arabe in oro che portano i nomi dei grandi personaggi dell’Islam. Difronte al museo di Santa Sofia vi è l’ingresso della cisterna Yerebatan, un grande serbatoio d’acqua con una foresta di colonne costruito dai Bizantini. Qui sono state girate alcune scene del film 007 di James Bond: “Dalla Russia con Amore”.

Istanbul, Basilica Cisterna

Nell’area della Moschea Blu e della Moschea di Santa Sofia si trova l’Ippodromo, oggi semplicemente un grande viale coperto di verde con tre obelischi. Quello di Tutmosis III venne portato dall’Egitto all’epoca dell’Imperatore Costantino. Ci vollero 30 giorni per sistemarlo su un basamento romano e fu inaugurato nel 390 d. C. Gli altri sono la modesta colonna serpentina, proveniente dal tempio di Apollo di Delfi e la colonna di Costantino (eretta nel IV secolo), rovinata in quanto sono state tolte le lamine in bronzo. La “colonna bruciata” (Çemberlitas) innalzata dall’Imperatore Costantino nell’anno 330 si trova non distante dal Gran Bazar, ma è ridotta male a causa dei terremoti e degli incendi. Nel periodo bizantino, nell’Ippodromo, si svolgevano spettacoli e combattimenti, ma ciò che produceva un tifo, spesso violento, erano le corse dei carri. Non lontano si erge il palazzo di Topkapi (che significa porta dei cannoni), cuore del vasto impero ottomano, domina il Bosforo e il Corno d’Oro (Haliç). Fu la sede del governo e reggia dei sultani dal 1481 al 1853. In realtà Topkapi è una vera cittadella.

Istanbul, il famoso diamante custodito nel Topkapi

Per accedere all’interno della quale vi sono tre porte, la principale è la Porta Sublime o Porta del Saluto, dove prestano servizio di rappresentanza i militari della Jandarma (la gendarmeria Turca). A destra dell’ingresso ci sono delle enormi cucine con caratteristici camini, simili a quelli della residenza estiva dei reali del Portogallo a Sintra. Le 10 gigantesche cucine del palazzo, dove ogni giorno si preparavano pasti per 5000 persone, sono state progettate dall’architetto Sinan. Nelle stanze dei tesori vi sono troni e gioielli magnifici, diamanti, smeraldi, la spada di Solimano invece è alquanto modesta. Il tesoro dei sultani non è però tutto qui. Per motivi di spazio gli oggetti vengono fatti ruotare periodicamente nelle vetrine (ad ogni visita si possono ammirare oggetti diversi). Nella sezione delle reliquie ci sono oggetti appartenuti al Profeta Maometto, tra cui due spade, un mantello, le bandiere, lettere e altri oggetti molto venerati. Vi è anche un museo della ceramica con maioliche provenienti dalla Cina. Abbiamo visitato la stanza dove si riuniva il Divan, il consiglio imperiale ottomano, all’inizio presenziato dal sultano. In seguito a un attentato l’imperatore non vi partecipò più direttamente, restando in una stanza superiore collegata all’altra mediante una sorta di camino che permetteva di ascoltare i dibattiti dell’assemblea.

Istanbul, Gran Bazar

Il Gran Bazar di Istanbul è il più fornito e il più organizzato dei souk; io lo chiamerei anche l’antenato dei nostri centri commerciali. E’ una costruzione con cupole e volte, vi sono 4.000 negozi l’uno a fianco dell’altro, 18 porte, 60 strade e vicoli, 5 moschee interne, banche, fontane, ristoranti, il Monte dei Pegni, bagni turchi, stazioni di polizia… E’ veramente una città nella città. Lo scrittore Edmondo De Amicis lo visitò nel 1905 e lo definì: “Ordinato come una caserma”. Fra le 18 porte d’ingresso, le più importanti sono quella di Nuruosmaniye e quella di Beyazit (sopra c’è scritto “Dio ama i mercanti”). La via principale non è molto lunga, ma a destra e a sinistra si estendono numerosi vicoli con altre ramificazioni. Vi si trovano maglie di cotone di buona qualità, ceramiche, maioliche di Iznik (le stesse della Moschea Blu), onice di Cappadocia, abbigliamento, capi in pelle, oggetti in vetro, ottone, rame, bronzo, ma soprattutto gioielli. Il souk è però molto esteso, occupa infatti una superficie di 30 ettari, quindi per visitarlo è consigliabile l’uso di una mappa. Il Gran Bazar è stato distrutto da 12 terremoti e 9 incendi nel periodo ottomano, sempre restaurato e ingrandito. Noi acquistiamo un occhio arcaico che scaccia il malocchio: una tradizione molto più antica del Cristianesimo e dell’Islam.

Spiaggia di Antalya

DA ANTALYA ALLE CASCATE DI PAMUKKALE

Un volo ci porta quindi ad Antalya uno dei centri balneari più noti e importanti della costa “turchese”. ll fiume Düden, in Turchia regala uno spettacolo straordinario: a circa 12 chilometri a sud-est di Antalya si getta direttamente in mare, cosa piuttosto rara nel mondo. In realtà le cascate di Düden contano di due rami distinti: le cascate superiori e quelle inferiori e sono quest’ultime, a qualche chilometro di distanza delle prime, che si tuffano direttamente nelle acque del Mediterraneo, con un dislivello di circa 40 metri.

Antalya, cascate di Düden

Il salto è anche conosciuto con il nome di Cascata di Lara. Il Düden è un fiume carsico che percorre parecchi chilometri in una galleria sotterranea. La zona delle cascate è adesso un parco naturale, per chi volesse ammirare al meglio queste cascate è consigliabile compiere una escursione in barca: dal mare si ha la visione più spettacolare delle uniche cascate che si riversano direttamente nel mare del Mediterraneo.

A circa 40 chilometri a nord est di Antalya è possibile ammirare le cascate di Kursunlu, leggermente più piccole delle cascate di Düden ma, senza dubbio, più suggestive, offrono inoltre la possibilità di una passeggiata lungo il fiume. Le cascate danno origine a dei piccoli bacini di acqua nei quali nuotano tantissime trote e, nei giorni particolarmente fortunati è possibile vedere anche le tartarughe. Sempre pernottando ad Antalya ci concediamo un’escursione alle cascate di Pamukkale, nella provincia di Denizli. Pamukkale, sito dichiarato patrimonio dell’umanità dall’UNESCO, significa “castello di cotone”.

Antalya, cascate di Kurşunlu

I movimenti di origine tellurica hanno provocato numerosi e frequenti terremoti ma, accanto ai disagi provocati da queste scosse sismiche, hanno originato numerose fonti termali particolarmente ricche in calcio e di anidride carbonica. Emergendo in superficie, l’acqua disperde gran parte dell’anidride carbonica, trasformando il bicarbonato in carbonato di calcio, mutamento che provoca, anche a causa di un abbassamento della temperatura, la creazione di caratteristiche formazioni articolate in spessi strati bianchi di calcare e travertino, particolarità che rende la zona simile ad un castello di cotone o ad una cascata di ghiaccio, da qui il nome di Pamukkale. Purtroppo il continuo ed incessante sfruttamento del sito da parte delle numerose strutture ricettive ha determinato ingenti danni anche a causa dell’utilizzo di detergenti di natura industriale. Proprio questa situazione ha determinato l’UNESCO ad intervenire eliminando gli hotel abusivi e coprendo la strada con piscine di natura artificiale. Le parti imbrunite sono state sbiancate lasciandole esposte al sole prive di acqua per numerose ore al giorno. Oggi esiste un’intensa opera di sorveglianza che permette di evitare eventuali abusi da parte dei visitatori.

Cascate di Pamukkale

CAPPADOCIA, LA VALLE DI GÖREME

L’ultima tappa del nostro viaggio in Turchia è la Cappadocia (terra dei bei cavalli), una delle zone più sorprendenti della terra. Essendo terra vulcanica, è quindi fertilissima: vi maturano albicocche di prima qualità, uva, prugne. Si coltivano anche patate, viti e zucche per semi, grano, ceci. La valle di Göreme è una delle più famose della Cappadocia: ospita un numero elevatissimo di chiese rupestri ed è un vero e proprio “museo all’aria aperta”.

Cappadocia, Camini delle Fate

Qui si possono ammirare i Camini delle Fate, formazioni rocciose provocate dall’erosione dell’acqua e del vento. Sono chiamati così perché alcuni contadini superstiziosi credevano che in ogni camino vivesse una fata. La Cappadocia, iscritta dal 1985 nella lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’Unesco, è una terra in cui si riflette l’armonia tra natura e umanità. Essa stessa rappresenta un miracolo della natura, essendosi formata milioni di anni fa a seguito dell’eruzione dei vulcani Erciyes, Hasandag e Gulludag. Il materiale proveniente da queste caldere generò un altopiano composto da tufo alternato a dura roccia vulcanica, a circa 1000 metri d’altezza. Nel tempo, poi, i fenomeni atmosferici come vento, pioggia, sabbia e ghiaccio, hanno fatto il resto, erodendo il tufo e lasciando solo le formazioni basaltiche che hanno dato vita a strutture coniche in alcuni casi alte anche 45 metri, ovvero i Camini delle Fate, rocce basaltiche create migliaia e migliaia di anni fa e che nel tempo hanno assunto la forma di un camino.

Cappadocia, chiesa di Karanlik, affresco Ultima Cena

I Camini sono sparsi un po’ su tutto il territorio della regione ma è nel Parco Nazionale di Göreme che si vedono gli esemplari più belli. Se da una parte la natura ha creato questi capolavori, è stato poi l’uomo, nel corso dei secoli, a scavare la roccia e a costruire case, chiese e numerose città sotterranee. Oltre a fare trekking tra i Camini delle Fate, in alcuni casi, è possibile anche entrare al loro interno e toccare con mano l’opera mastodontica di scavo. Il sottosuolo della Cappadocia è inoltre attraversato da migliaia di gallerie e cunicoli che costituivano una cinquantina di città sotterranee, di cui solo tre sono visitabili. Noi visitiamo quella di Kaymakli. Interessanti sono le porte rotanti che bloccavano il passaggio con enormi massi: si muovevano su perni e si potevano spostare solo dal lato interno. Si calcola che siano più di 500 le chiese rupestri, le cappelle, i monasteri scavati nella pietra di tufo sparsi sul territorio della Cappadocia, soprattutto a Goreme, in quella che può essere considerata una cittadella monastica a tutti gli effetti. La chiesa più grande è quella di Tokali o chiesa della Fibbia, risultato della fusione di ben quattro chiese.

Cappadocia, chiesa Oscura (Karanlik)

All’interno, la bellezza degli affreschi raffiguranti diversi momenti della vita di Gesù lascia senza parole. Il colore dominante è il blu ma la prima cosa che salta agli occhi è il fatto che alcuni volti dei Santi siano stati cancellati nel corso dei secoli da chi perseguitava i cristiani. Il momento più suggestivo è però la visita della chiesa Oscura (Karanlik). Era chiamata così perché all’epoca della sua costruzione, la luce entrava solo attraverso una piccola finestra ed è stata proprio l’oscurità ad aver preservato così bene questi affreschi che, tra le altre cose, riproducono scene dell’Annunciazione, della Trasfigurazione, dell’Ascensione di Gesù, del suo arresto nell’orto del Getsemani. La visita alla cooperativa di tappeti in questo genere di viaggi non manca mai. Ma qui sembra di ritornare di alcuni decenni indietro quando anche in Italia si coltivava l’albero del Gelso e si allevava il baco da seta. Abbiamo potuto vedere tutte le fasi della lavorazione, dal bozzolo del baco al filo splendente e poi donne al lavoro sul telaio intente a riportare sulla tela sofisticati disegni. Per chi vuole acquistare un tappeto non manca l’imbarazzo delle scelta: tappeti di lana, lana su cotone o seta pura. In un tappeto sono importanti: la trama, gli orditi e i nodi. Il tappeto persiano è più fine di quello turco, ma meno resistente poiché è a nodo singolo, mentre quello turco è a nodo doppio. Il Kilim invece è ricamato, non ha nodi.

di Eno Santecchia

Cappadocia, chiesa Oscura (Karanlik), il Creatore