Sono ormai trascorsi quasi trent’anni dalla rivoluzione romena del dicembre 1989, quella che culminò con la fucilazione del dittatore Nicolae Ceausescu e di sua moglie Elena. La Romania, entrata a far parte della Comunità Europea nel 2007, è oggi una nazione in lento ma costante cambiamento, aperta alla cultura, alle mode, alle tecnologie (e alle manie) dell’Europa occidentale, ma ancora tenacemente legata alle antiche tradizioni.
Ciò le conferisce un carattere originale e un fascino d’altri tempi, soprattutto nei paesi e villaggi sparsi tra le foreste. Dalle verdi vallate della Transilvania alle montagne dei Carpazi, dai numerosi monasteri della Bucovina fino alle coste del Mar Nero, un viaggio in Romania può far conoscere al viaggiatore più curioso e predisposto a itinerari poco scontati, un sorprendente concentrato di incomparabili bellezze naturali, architettoniche e artistiche. Senza tralasciare la cultura locale e la predisposizione al contatto umano del popolo romeno che costituisce un autentico incentivo alla scoperta: questo è un Paese dove il visitatore viene accolto ancora con genuino calore e ospitalità.
Il mio viaggio inizia da Cluj-Napoca, la più grande città della Transilvania, capitale della gioventù 2015; vanta un’ università, una vivace scena notturna e luoghi di interesse risalenti ai domini sassone e ungherese. La città è costellata di caffè bohémien e bei bar, che possono costituire ottime tappe per una sosta ed è un vero piacere passeggiare nel delizioso centro storico, dove la maggior parte delle attrazioni possono essere facilmente raggiunte a piedi. Tra i luoghi di maggior interesse vi sono il Museo Etnografico, la cui fiabesca sezione all’aperto, “Romulus Vuia”, fondata nel 1929, è localizzata vicino alla foresta Hoia; la curiosa Collezione della Storia della Farmacia ospitata a Casa Hintz e la chiesa gotica di San Michele del XV secolo, pezzo forte della piazza centrale di Cluj (Piata Unirii), insieme alla spettacolare statua del re Mattia Corvino. Sul lato orientale della piazza sorge lo splendido Palazzo Bánffy, un edificio di epoca barocca, trasformato in museo d’arte romena.
Non lontano dalla piazza troviamo Casa Matei Corvin, solida costruzione gotico-rinascimentale del XV secolo, oggi sede di un istituto d’arte. Qui nacque Mattia Corvino, re d’Ungheria, letterato e protettore delle Arti.
Cluj-Napoca è il centro con la più grande comunità ungherese di tutta la Romania, è stata parte del regno degli Asburgo d’Austria e ne conserva i tratti nella struttura stradale, nell’ordine e nell’eleganza delle cose e della gente che appare riservata e rispettosa. Ovviamente è presente anche la cultura romena, più giovane ma ugualmente radicata e in una situazione di perfetta integrazione. Prima di lasciare Cluj-Napoca merita una visita il giardino botanico Alexadru Borza. È uno dei più grandi dell’Europa sud-orientale e conserva circa 10mila specie di piante. All’interno della proprietà c’è un museo, numerose serre con piante tropicali, un giardino giapponese con un ruscello e una tipica casa giapponese, e un giardino romano con reperti archeologici della colonia romana di Napoca.
MARAMURES, TRADIZIONI IN UNA SPLENDIDA CORNICE NATURALE
Partiamo ora per il cuore del Maramureș, regione situata in prossimità della frontiera con l’Ucraina, tra le più pittoresche d’Europa con i suoi villaggi ben conservati, le fattorie chiuse dalle caratteristiche porte di legno intagliato e le colline boscose dove le tradizioni contadine si sono maggiormente preservate: un percorso attraverso splendidi paesaggi di prati e foreste. Qui è bello fermarsi in uno dei semplici mercati all’aperto e osservare le donne più anziane vestite con gonne dai colori sgargianti ed il capo coperto dal tradizionale foulard ricamato.
La principale attrazione turistica di questa regione è costituita dalle chiese in legno, uniche al mondo, presenti in ogni villaggio del Maramures, che rappresentano l’espressione più viva della maestria artistica degli artisti locali. Le chiese di legno del Maramures, tutte affiliate alla chiesa ortodossa romena, edificate in epoche e stili diversi, per lo più durante il diciassettesimo e diciottesimo secolo sulle fondazioni di vecchie chiese ormai scomparse, testimoniano l’originale tradizione dell’architettura sacra in questa regione isolata fra i monti Carpazi e i monti Rodnei. Il motivo che portò allo sviluppo di questa tradizione fu il divieto imposto dalla corona d’Ungheria di costruire edifici sacri ortodossi in pietra in quei territori. Vennero perciò usati come materiali da costruzione il legno di quercia, di abete, di olmo e di faggio. Costruite senza l’utilizzo di ferro neppure sotto forma di chiodi e con una planimetria molto spesso rettangolare semplice, le chiese del Maramures (oggi circa 70 di cui otto sono state incluse nel 1999 nella lista UNESCO), sono state realizzate unicamente con tavole di legno ad incastro.
Elementi caratteristici di queste costruzioni sono le strette navate, i tetti coperti di scandole, gli alti campanili, aguzzi e possenti, tali da far apparire piccolo il resto della costruzione e gli interni decorati con dipinti eseguiti direttamente sul legno a rappresentare, per lo più, scene tratte dall’Antico Testamento. La più antica chiesa in legno del mondo, eretta nel 1364, si trova nel villaggio di Ieud e ospita una delle più ricche rassegne di dipinti di Alexandru Ponehalski, realizzati nel 1782. Nel corso di una delle molte ristrutturazioni di questa chiesa è stato scoperto il libro più antico in lingua romena, il Codice di Ieud, attualmente custodito presso l’Accademia Romena di Bucarest. La seconda più alta costruzione in legno d’Europa è invece la chiesa del monastero di Barsana, dedicata a San Nicola e dotata di una torre che sfiora i 62 metri, eretta nel 1711. Nel 1806 la chiesa fu ridipinta all’interno, direttamente sul legno, da due famosi pittori di Maramures, Toader Hodor e Ioan Plohod. Attorno alla chiesa è sorto il complesso monastico di Barsana, fondato nel 1993, che conta vari edifici caratterizzati da bizzarri tetti in legno ed immersi in un paesaggio da fiaba, tra giardini fioriti e verdi prati curatissimi.
A soli quattro chilometri dal confine ucraino, sulla riva del Tisa, si trova il piccolo villaggio di Sapanta che ospita il coloratissimo Cimitirul Vesel (letteralmente: Cimitero allegro). Il cimitero, un colpo d’occhio davvero unico, è un vero e proprio museo a cielo aperto ed è conosciuto per le circa 800 lapidi ornate con intagli a colori vivaci, vignette e strofe umoristiche che ripercorrono la vita del defunto, il suo lavoro, illustrandone le virtù ma anche i difetti. Il cimitero è associato alla cultura degli antichi Daci, la cui filosofia, basandosi sul concetto dell’immortalità dell’anima, considerava la morte un mero “cambio di paese”, anzi un momento di gioia poichè il defunto approdava ad una vita migliore
La tradizione delle lapidi del Cimitero Allegro iniziò nel 1935 grazie all’opera dello scultore, poeta e pittore Stan Ioan Patras che decise di portarsi avanti e fece una decorazione per la sua futura sepoltura in legno di castagno. Iniziò poi a dipingere croci e lapidi per proteggerle dall’azione degli agenti atmosferici e farle durare più a lungo. Da subito, scelse il blu intenso, lo stesso delle vecchie case transilvane. Dopo il colore arrivarono le prime decorazioni: motivi geometrici o floreali, lune e soli realizzati in colori vivaci, quelli dei tappeti e dei tessuti locali, delle ceramiche e delle immagini dipinte sul vetro. Patras continuò a scolpire e adornare croci e lapidi fino al 1977, così come le monumentali porte di legno che resero orgogliosi i contadini del posto. A proseguire il lavoro di Patras è stato poi il suo apprendista Dumitru Pop, che continua tuttora a realizzare una decina di croci l’anno.
La tomba più celebre è sicuramente quella di Dumitru Holdis, le cui miniature sono diventate persino dei souvenir da portarsi a casa. Gli epitaffi del cimitero sono tutti raccolti nel libro “Le iscrizioni parlanti del cimitero di Sapanta” scritto dal professor Bruno Mazzoni. Qualche esempio? “Lui amava i cavalli. Un’altra cosa amava molto. Sedersi al tavolo di un bar. Accanto alla moglie di un altro”. Insomma, un modo per superare con ironia la paura della morte ed essere ricordati per sempre con il sorriso.
A meno di un chilometro di distanza si può visitare il monastero di Sapanţa Peri, sulle rive del Tibisco. Si tratta di un grande edificio (75 metri di altezza e tre livelli) costruito in abete e circondato da un parco di 21 ettari dove si trovano oltre 30 diverse specie di alberi e arbusti. Una costruzione monumentale, realizzata dagli artigiani di Barsana. A Sapanta nel 1391 era stata eretta una chiesa di pietra ed un monastero, andati distrutti alla fine del Settecento. L’attuale complesso monastico risale al 1997. Con un’altezza di 78 metri, la chiesa del monastero è attualmente al terzo posto per altezza tra i luoghi di culto in Romania, dopo la cattedrale ortodossa di Timişoara e la chiesa cattolica di San Michele di Cluj ed è la la più alta chiesa lignea del mondo.
DAI MONASTERI DIPINTI DELLA BUCOVINA ALLE GOLE DI BICAZ
Raggiungiamo poi la regione della Bucovina varcando i Carpazi attraverso il passo di Tihuta. Questa è la regione dei monasteri, ancora oggi retti da monache poliglotte e molto dinamiche, autentici capolavori del cosiddetto Rinascimento romeno, fiorito dopo la presa di Costantinopoli da parte dei Turchi, nel 1453. I complessi cicli di affreschi dal brillante cromatismo che ornano questi edifici sacri, incorniciati nel verde degli scenari naturali, li rendono unici al mondo.
Gli edifici, di modesta fattura, furono commissionati nel XV secolo dal voivoda di Moldavia Stefano il Grande, che difese la regione dagli invasori alleandosi con Vlad l’Impalatore, una figura storica nota anche come Dracula. Poiché la maggior parte dei contadini era analfabeta, la Chiesa ortodossa fece coprire l’interno e l’esterno degli edifici con vivide immagini religiose, una sorta di Bibbia figurativa. Le pareti esterne e interne sono infatti totalmente ricoperte da affreschi, mirabile esempio di arte religiosa e formidabile veicolo di insegnamento e divulgazione della religione ortodossa e della storia del Paese. Il più noto, il gioiello della Bucovina, si trova nel minuscolo villaggio di Voronet. Costruito con la consueta rapidità dal 26 maggio al 14 settembre del 1488, soltanto nel secolo successivo (precisamente nel 1547), vi furono aggiunti, per ordine del metropolita Grigorie Roșca, un atrio e numerosi affreschi esterni. I dipinti rappresentano una magnifica sintesi tra il linguaggio bizantino e la realtà moldava dell’epoca. Sulla facciata del nartece splende in tutta la sua magnificenza il Giudizio Universale. Si vedono angeli e diavoli di fronte a una bilancia mentre pesano le buone e le cattive azioni compiute da un uomo nel corso della sua vita. In gioco c’è il Paradiso o l’Inferno.
Attorno a loro, i morti escono dalla tombe, accodandosi ad una moltitudine in attesa di conoscere il proprio destino. E’ una scena forte e coinvolgente, e non stupisce che questo affresco, vecchio di 500 anni, abbia meritato al monastero di Voronet il titolo di Cappella Sistina dell’Est cristiano. L’affresco è caratterizzato da una sfumatura grigio-azzurra così particolare da aver dato il nome a un colore: blu Varonet, considerato dagli specialisti come unico al mondo e altrettanto famoso come il rosso di Rubens o il verde Veronese. Si è constatato che regola la sua tonalità a seconda del grado di umidità nell’atmosfera. Il monastero di Voronet è uno degli otto edifici religiosi e con affreschi simili che, insieme, costituiscono un sito Patrimonio dell’Umanità. Gli affreschi del monastero di Humor hanno una tonalità del tutto diversa, basata sull’ocra; mentre i colori più brillanti sono quelli che decorano la chiesa di Sucevita, i cui pigmenti sono magistralmente ricavati da minerali polverizzati, pietre semipreziose e argille rare. Nella chiesa di Moldovita, eretta nel 1532, colpiscono i vivaci colori della scena raffigurante l’Assedio di Costantinopoli.
Il viaggio nella Romania nord occidentale si conclude con un’immersione nella natura:, la visita ai pilastri rocciosi delle gole di Bicaz e al vicino Lago Rosso. Il fiume Bicaz ha scavato per millenni nella dura pietra della montagna, riuscendo così ad attraversarla e a creare monumentali gole scolpite nella pietra, circondate da pareti verticali di 300-400 metri. Il paesaggio carsico, composto da miscele di diaspri, ceneri vulcaniche, conglomerati, marne e arenarie, rocce di diversi colori e forme, rappresenta uno dei percorsi turistici più impressionanti e spettacolari dei Carpazi. Non lontano troviamo il lago Rosso, originato dallo sbarramento naturale per lo scoscendimento del monte Ghilcos nel 1837; dall’acqua emergono i tronchi pietrificati dei pini e ricchissimo è il patrimonio ittico. Il colore rossastro del lago è dovuto a due motivi: al fatto che vi si specchia una montagna dalle tonalità rossastre nonchè alle particelle di argilla rossa ricche di ossidi ed idrossidi di ferro portate dall’omonimo ruscello che si versa nelle sue acque. Più suggestiva la leggenda che racconta come il lago si fosse formato con il sangue di un gruppo di giganti schiacciati dalla frana della montagna.
In un viaggio in Romania, soprattutto in questa parte rurale del Paese, non si può non considerare l’aspetto culinario. Ovunque regna sovrana e in diverse varianti la ciorba, il piatto tipico romeno per eccellenza; una zuppa a cottura lunga e a fuoco lento, con carne di maiale, pollo, vitello o tacchino a cui si aggiungono diverse verdure e spezie. La ciorba può diventare anche acida unendovi del bors (il succo diventato acre del macinato di grano), aceto o succo di limone. A volte si aggiunge un dressing di panna acida chiamata smantana insieme al tuorlo delle uova che le fa diventare bianca. Ottima la carne romena, dalle costine di maiale aromatizzate con spezie varie ai mititei o mici, salsicce di carne trita mista e aromi che accompagnano quasi sempre le grigliate estive e i mercati all’aperto o le sarmale, involtini di polpette di carne trita e spezie avvolte in foglia di vite in estate o di cavolo in inverno. Per quanto riguarda i dolci, imperdibile il papanasi, ciambelle fritte servite insieme ad un formaggio dolce e cremoso, simile al nostro mascarpone e ad una buonissima marmellata di mirtilli.
Foto e testi di Claudia Meschini
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