Con la 37^ edizione del Palio delle Contrade Vigevano torna al periodo sforzesco e precisamente al 1460, anno che vide l’avvento nella città della Corte Sforzesca. La manifestazione, in programma dal 6 al 9 ottobre, ha il merito di aver favorito l’incontro tra la città ed i suoi monumenti storici. Il cortile del Castello, così come la Piazza Ducale, non sono mai stati concepiti dal Palio solo come luogo per i giochi, ma bensì come ambienti privilegiati nei quali far rivivere la storia e la cultura della città.
Nel 1981, dall’idea di Don Stefano Cerri, allora parroco di San Pietro Martire, inizia un percorso che puntando sulla rievocazione del periodo sforzesco diventa la sfida di tutte le parrocchie cittadine progettando così una nuova realtà cittadina: il Palio delle Contrade di Vigevano. Da quel momento in poi la rievocazione storica di Vigevano, ambientata nel Periodo Ducale, nel quale la città ebbe un’espansione urbanistica e una rilevanza politica, religiosa e culturale oltre i propri confini, è cresciuta sempre più, affermandosi in ambito regionale e nazionale, grazie al fascino della ricostruzione del Borgo Rinascimentale con il suo mercato con tanto di prodotti tipici della terra e dell’artigianato dell’epoca, del suggestivo Corteo Storico (oltre 400 figuranti) e degli avvincenti Giochi, senza contare la partecipazione di giocolieri, giullari, cantastorie, arcieri, fabbri, danzatori e guerrieri. Accanto ai personaggi del Corteo Ducale, raffiguranti le antiche famiglie nobili del borgo vigevanese (recuperate attraverso una fedele ricerca storica effettuata dall’Associazione Sforzinda), oggi si possono ammirare i popolani, riuniti nelle differenti corporazioni, che animano il borgo ricreato nel cortile del Castello Sforzesco.
Ad ogni Contrada viene abbinata una Corporazione la cui arte viene abilmente riprodotta, mostrata e spiegata al visitatore. L’insieme di questi banchetti va a formare il Borgo Rinascimentale. Si possono incontrare le arti di scultori, orafi, pittori, sarti, calzolai, fabbri, armaioli, lanaioli, arazzieri e da loro si possono apprendere i segreti del mestiere partecipando alle loro attività di bottega. Pescatori, cacciatori, allevatori, contadini e vignaioli, mugnai e fornai illustrano il proprio mestiere e permettono di assaggiare piatti dai sapori antichi. Notai accolgono i visitatori in raffinati uffici, Gabellieri inviati dal Duca a riscuotere tasse si incrociano con artisti girovaghi e frati offrono birra e buon vino. Il Palio è stato arricchito in questi ultimi anni dalla creazione di alcuni gruppi storici: il Biancofiore, gruppo di danza rinascimentale, Aurora Noctis, gruppo di giocoleria, Musici ed Alfieri dell’Onda Sforzesca, gruppo di tamburi e sbandieratori, Armeria Ducale.
Negli ultimi anni si è dato sempre maggiore importanza all’aspetto gastronomico, grazie anche alle ricerche condotte con l’ausilio di storici locali che hanno fattivamente collaborato.
Alla Corte Sforzesca i banchetti erano fastosi e prestigiosi: illustri ospiti ricordano, nelle loro memorie scritte, le feste di Corte ai Castelli di Milano e Vigevano e gli spettacoli quivi preparati per allietare il loro soggiorno. Nel corso del banchetto la scelta dei piatti era vastissima. Si iniziava con frutta e minestre, si continuava con carne, pollame, pesce o umidi, per finire con frutta e “confezioni” paragonabili al nostro dessert. Veri e propri capolavori che spesso rappresentavano soggetti mitologici. Il cibo era portato alla bocca con le mani, si usavano solo il coltello ed il cucchiaio. Nell’intento di proporre al pubblico la ricostruzione delle antiche botteghe delle Corporazioni delle Arti e dei Mestieri si sono studiate ricette e si sono ricercati prodotti consumati realmente in quel periodo da tutte le classi sociali.
Uno dei momenti più coinvolgenti del Palio è sicuramente quello dedicato ai giochi. Il tanto ambito “cencio”, un’opera raffigurante il Beato Matteo Carreri, protettore della città di Vigevano, viene assegnato alla Contrada che vince i vari giochi che si svolgono durante la manifestazione: “l’Albero del melo cotogno”, ispirato alla leggenda della nascita della dinastia Sforzesca, secondo cui, Muzio degli Attendoli, capostipite della stessa, sfidò la sorte lanciando una zappa su un albero: se fosse caduta a terra, avrebbe continuato a fare il contadino, se fosse rimasta impigliata tra i rami, sarebbe diventato soldato, partendo con il gruppo di mercenari che passava per quelle terre di Cotignola. I giocatori delle dodici contrade devono lanciare delle fettucce, zappe simboliche, su un albero stilizzato in ferro battuto, cercando di raggiungere il contenitore in cima all’albero per il quale il punteggio è più alto. Nella “Corsa con le carriole”, viene rievocato un gioco antichissimo, corso in ogni epoca e da ogni classe sociale. I giocatori devono caricare e scaricare due volte 20 ceppi facendo molta attenzione a non perderne neanche uno per strada.
La “Corsa con il cerchio” è un gioco che si ispira al quadro dei passatempi del pittore fiammingo Brueghel il Vecchio. Protagoniste le fanciulle che devono sospingere un cerchio con un bastoncino di legno, superando degli ostacoli posti lungo tutta la corsia di gara. Nel gioco della “Costruzione della torre”, i giocatori devono ricostruire un modellino della Torre del Bramante, simbolo di Vigevano, e suonare la campanella nel minor tempo possibile, proprio come invita uno dei motti della Piazza Ducale “Sona se tu puoi”.
VIAGGIO A VIGEVANO
Posta all’estremo Nord della Lomellina – e appartenente alla provincia di Pavia, in Lombardia – Vigevano sorge su un piccolo altipiano che si è formato tra la sponda destra del Ticino e la sinistra del Terdoppio. La città è nota in tutta Italia per essere stata a lungo uno dei principali centri di produzione di scarpe. Qui, infatti, sorse, nel 1866, il primo calzaturificio a modello industriale, aprendo una stagione che nel secolo successivo avrebbe portato il capoluogo lomellino a produrre 20 milioni di paia di scarpe all’anno, guadagnandosi l’appellativo di “capitale della scarpa”.
Ancora oggi il Museo internazionale della calzatura, ospitato nei locali del Castello Sforzesco, conserva le testimonianze di un periodo cruciale della storia industriale italiana. Negli ultimi decenni l’industria calzaturiera è stata affiancata dalle aziende meccaniche specializzate nella costruzione di macchine e stampi per calzaturifici ad alta tecnologia, esportati in tutto il mondo.
Il nucleo più antico della città nacque nell’alto medioevo come borgo fortificato a guardia del guado sul Ticino. Vigevano divenne libero comune e fu contesa, per la sua posizione strategica, da Milano e Pavia in lotta fra loro. Passò sotto la signoria dei Della Torre e vide i suoi fasti a partire dal XIV secolo prima con i Visconti e, dalla metà del XV secolo, con gli Sforza sotto i quali conobbe il suo massimo splendore artistico, divenendo città ducale, ricca di attività artigiane e commerciali e sede vescovile. Vigevano è stata la prima città lombarda ad aver ottenuto il titolo di città.
L’itinerario classico parte da Piazza Ducale che è area pedonale. La Piazza è definita il “salotto” della Lombardia, e una delle più armoniose e belle piazze rinascimentali d’Italia. Ideata da Donato Bramante, viene fatta costruire, a partire dal 1492, da Ludovico il Moro come anticamera nobile del castello. E’ uno dei primi modelli di piazza rinascimentale ed al tempo stesso uno dei pochi esempi di piazza concepita come opera architettonica unitaria: nel suo insieme costituisce una delle più compiute realizzazioni urbanistiche di tutto il quattrocento lombardo.
Si presenta come un rettangolo di 134 metri di lunghezza per 48 di larghezza, circondata da portici ad arcate, sorretti da 84 colonne con capitelli lavorati e tutti diversi fra loro. Nel 1680 avviene un completo rovesciamento di rapporti tra piazza e chiesa: il vescovo Juan Caramunel Lobkovitz riesce magnificamente a reinterpretare la piazza come anticamera della cattedrale, separando, al tempo stesso, la dipendenza di quest’ultima dal castello.
La cinquecentesca decorazione pittorica degli edifici ad arcate fu rifatta agli inizi del Novecento con colori e motivi vivaci: un gioco illusionistico di architetture, figure mitologiche, disegni floreali, stemmi ducali ed una serie di medaglioni raffiguranti personaggi della famiglia ducale, i grandi della storia classica e curiosi motti quattrocenteschi. La Piazza è chiusa dalla facciata barocca del duomo, concava e perpendicolare all’asse della piazza.
Dedicato a Sant’Ambrogio, il duomo fu iniziato dal duca Francesco II nel 1532 su disegno di Antonio da Lonate ed ultimato solo nel 1606. L’interno a croce latina e tre navate, conserva notevoli opere d’arte. Sotto la balaustra principale, proprio davanti all’altare, è visibile la sezione della testa di un animale che ricorda un coccodrillo, ma si tratta del resto fossile di un dinosauro. Ma interessante è soprattutto il museo del duomo che contiene arazzi fiamminghi provenienti dalle arazzerie di Bruxelles, messali miniati, arredi sacri, un tesoro in larga parte donato da Francesco II Sforza in occasione della nascita della diocesi di Vigevano. Tra i vari pezzi una paramentale cinquecentesco, ricamato in oro zecchino ed usato a Monza nel 1805 per l’incoronazione di Napoleone Bonaparte e La Pace, un preziosissimo reliquiario in argento cesellato in oro dal grande orafo Benvenuto Cellini.
Dalla Piazza si può ammirare la Torre del Bramante. Eretta a più riprese, nel punto più alto della città su un basamento di epoca comunale, viene ristrutturata nella forma attuale dal Bramante, nel 1492-1493; il cupolino della torre è barocco, e vi fu collocato al tempo della costruzione della facciata del Duomo.
Dalle sue merlature si gode una panoramica completa sulla piazza, sul castello e sull’intera città. A destra del duomo si apre Via XX Settembre, che passa sotto il portone della “strada coperta” fatta costruire da Luchino Visconti. Da qui è possibile ammirare la strada sopraelevata più antica del mondo: un corridoio di 163 metri che scavalca la città e collega la “rocca vecchia” con la nuova fortezza viscontea, permettendo alle truppe il passaggio al coperto. Dopo il portone, sorgono le splendide vestigia del castello che fu residenza estiva di Ludovico il Moro.
Il Castello Sforzesco, la cui costruzione è caratterizzata da due fasi determinanti successive, una viscontea ed una sforzesca, fu eretto per volere di Luchino Visconti, nel 1345: ha forma quadrilatera con quattro torri angolari a merlatura ghibellina. Solo in seguito gli Sforza, con il contributo artistico del Bramante, diedero al castello i caratteri di grandiosa residenza principesca. Dal 1492 al 1494, per volere di Ludovico il Moro, fu completata la costruzione delle Scuderie, capaci di contenere quasi mille cavalli, della torre a volumi sovrapposti e degli agili colonnati della Falconiera.
Nell’ala del maschio del castello erano situati gli appartamenti della duchessa Beatrice d’Este, amatissima moglie di Ludovico il Moro, la quale, dopo avergli dato due figli, morì di parto dopo la sua terza gravidanza. Dopo la sua morte, l’ala non fu più abitata stabilmente, o per meglio dire non da esseri viventi: una leggenda vuole che, nelle calde notti estive, gli spiriti delle dame di corte di Beatrice amino passeggiare nottetempo nei loggiati degli appartamenti femminili del castello. Con la fine della dinastia sforzesca (1535) il castello passò agli spagnoli iniziando così un lento declino che lo vide ospitare eserciti e caserme per più di tre secoli. Il castello ospita il Museo Archeologico Nazionale della Lomellina che raccoglie le testimonianze archeologiche del territorio lomellino, dal periodo celtico (I-II secolo a.C.) all’Alto Medioevo (I-II secolo d. C.).
Lungo le eleganti vie del centro storico si susseguono palazzi neoclassici ottocenteschi, case barocche, graziosi cortili e chiese di ogni epoca e stile artistico. Si segnalano: San Giorgio, del X secolo, piccola chiesa con un antico affresco raffigurante il Santo che sconfigge il drago; San Pietro Martire, del secolo XIV secolo, in stile gotico lombardo.
Nel Quattrocento era collegata al castello, cui fungeva da cappella, ed era attigua al Convento Domenicano, dove visse il beato Matteo Carreri, patrono della città, di cui conserva le spoglie, e dove, nel 1696, fu firmata tra francesi e austriaci la “Pace di Vigevano” che pose fine a sei anni di guerre; e ancora San Francesco, che risale all’epoca sforzesca e si presenta in forme gotico-lombarde; Santa Maria del Popolo, chiesa barocca il cui nome non si riferisce agli abitanti della città ma ai pioppi (latino populus), che probabilmente in origine la circondavano; il Santuario della Madonna di Pompei e la piccola Chiesa del Crocifisso, situata a poca distanza dalla Via dei Mulini e dai Terraggi, le ultime vestigia delle mura cittadine.
Merita senz’altro una visita il Museo Internazionale della Calzatura, la prima ed unica istituzione pubblica in Italia dedicata alla storia e all’evoluzione della scarpa intesa come indumento e come oggetto di design e moda, elemento di costume sia attraverso i secoli che presso le diverse civiltà. Nato nel 1972 da una cospicua donazione della famiglia Bertolini al Comune, il museo si trova dal 2003 nel Castello, all’interno della seconda Scuderia.
In esposizione circa 1000 calzature oltre a tutto il materiale legato alla produzione della scarpa. Nella sezione storica vi sono esposti esempi di scarpe dal XV secolo ai giorni nostri, comprese quelle appartenute a personaggi famosi (pianella di Beatrice d’Este – 1490 ca) e le scarpe militari. La sezione etnografica riunisce calzature in uso presso i popoli della terra, dai sandali africani, ai mocassini indiani ed eschimesi, dalle babbucce arabe alle pantofole cinesi, dalle guetas giapponesi alle opanke balcaniche… Ed infine la sezione delle curiosità che raccoglie gli strumenti del ciabattino, scarpe curiose e brevetti particolari, ed un cospicuo fondo di pubblicazioni inerenti la calzatura e la sua produzione.
VIGEVANO NEL PIATTO
Vigevano si colloca nel cosiddetto triangolo del riso (i vertici sono Novara, Vercelli e Pavia), ossia la zona di maggior produzione risicola europea. Va da sé che il riso è protagonista della tavola vigevanese, nei primi piatti ma non solo: anche il dolce tipico di Vigevano è a base di riso (Il Dolceriso del Moro). I secondi piatti sono principalmente a base di carne: dai più classici manzo e maiale, alle rane e lumache, passando ai vari animali allevati in cortile tra cui l’oca la cui carne è impiegata anche come ripieno per squisiti ravioli.