Riscoprire sapori genuini prendendo spunto da un prodotto tipico canavesano: il salam’d patata che, insieme ad altri piatti della cucina tipica, è al centro della sagra in programma dal 27 al 29 gennaio a Settimo Rottaro, in provincia di Torino. È ormai sempre più confinata nei nostri ricordi quella “cultura del maiale” che sapeva trasformare in una festa il periodo di tempo che andava dalla macellazione dell’animale alla cena di chiusura; un avvenimento vero e proprio, atteso con trepidazione e che sapeva coinvolgere un gran numero di persone. “Del maiale non si butta via niente” ripetevano i nostri nonni, e questa affermazione pare anticipare il concetto di “consumo responsabile” al quale oggi molti si ispirano.
Di norma si allevava un maiale per famiglia nutrendolo con gli scarti dell’orto e del cibo quotidiano. E da questo evento annuale, quasi “rituale”, che gli organizzatori della sagra prendono spunto per mettere in evidenza, in maniera piacevole, alcuni aspetti della vita rurale caduti in disuso nel periodo della corsa alle fabbriche e del consumismo più esasperato e che oggi potrebbero servirci da esempio per rendere la nostra vita un po’ meno frenetica e qualitativamente migliore.
La sagra ha quindi l’obiettivo di farci riscoprire i sapori genuini, come quello del salame di patata, un prodotto tipico canavesano che nasce da ingredienti assolutamente naturali, “poveri”, ovvero alcune parti del maiale e le patate bollite: un insaccato dal gusto leggero, particolare e tipicamente piemontese che ben si abbina ad un buon bicchiere di vino rosso del territorio, ovviamente piemontese. Si tratta, come detto, di una preparazione insaccata a base di patate bollite e carne di maiale alla quale, in alcune zone del Biellese viene aggiunto anche un po’ di sangue per rendere il prodotto rosa. Il prodotto è stagionale (ottobre-marzo) in quanto le patate novelle non vanno bene perché non si prestano per caratteristiche intrinseche alla lavorazione, inoltre il salame di patata è molto delicato e soffre il caldo.
I ritagli di carne (carnetta, triti di bianco, grasso di sottogola, spolpo di costine, ecc.) vengono passati insieme nel tritacarne insieme alle patate dapprima bollite e agli aromi. Una volta la proporzione delle patate era predominante, attualmente si utilizzano proporzioni uguali di circa 1/3 di patate, 1/3 di carne suina, 1/3 di grasso suino; in alcune zone si utilizza fino al 50% di patate. Il tutto viene insaccato in budella torte e piccole. Una volta realizzato, il salame può essere consumato fresco, entro 5/6 giorni, oppure asciutto entro 15 giorni. La pezzatura del prodotto è di circa un etto. Il Salam’d patata è sempre stato fatto, alcuni salumifici possono dichiarare che lo producono da più di 50 anni. Negli anni 50-60, per motivi merceologici, ne è stata negata la produzione per due anni, poi ripresa proprio in virtù della tipicità del prodotto canavesano, introdotto nel Paniere dei Prodotti Tipici della Provincia di Torino.
IL PROGRAMMA DELLA 15^ EDIZIONE DELLA SAGRA DEL SALAM’D PATATA:
Venerdì 27 al Palasagra, area parrocchiale alle 14.30 “Strip”, spettacolo per bambini e adulti della compagnia teatrale Stilema, dalle 21 serata con i Blue Reflection Quartet, musica jazz da ascoltare degustando vini e spuntini della sagra, a seguire spaghettata all’amatriciana (offerta libera da devolvere a favore dei paesi colpiti dal terremoto).
Sabato 28 presso il salone Busca (ex ristorante) a partire dalle 16 esposizione modellistica a cura dell’associazione modellisti statici canavesani con attività di laboratorio. Presso l’edificio polifunzionale Olivetti alle 17.30 convegno “Canavese: sviluppo di un territorio”, storie di imprenditori canavesani tra turismo ed enoagroalimentare. Seguirà aperitivo a km 0 con degustazione di vini locali e prodotti della sagra. Al Palasagra area parrocchiale alle 20 cena Dal Purcat (su prenotazione), cena secondo tradizione con piatti a base di carne di maiale. Menù: salam’d patata, salame buono, salame di testa, vol au vent con salam’d patata, cotechino con patate, polenta e spezzatino, polenta e ciribicì, ossa con insalata di cavoli, frutta, dolce, caffè, vino ed acqua.Il comune ha partecipato ad un’iniziativa dell’associazione ANPCI che promuoveva l’acquisto delle lenticchie dell’azienda agricola di Francesco Fortuni di Montemonaco, nell’Ascolano, messa in ginocchio dal sisma del 24 agosto scorso. Le lenticchie verranno servite durante la cena insieme al cotechino e alle patate. A seguire intrattenimento musicale con il Gruppo 3.
Domenica 29 dalle 9 e per tutto il giorno, “Del maiale non si butta via niente”, filiera figurata della lavorazione del maiale; mostra mercato di prodotti tipici agro-alimentari; fiera dell’antiquariato; musica itinerante con J’amis d’albian; osterie della tradizione: nei cantoni Castello, Crearo, San Pietro e Villa saranno proposti in degustazione i piatti della tradizione rottarese; Peisa dal purcat, gara di stima del peso di un roseo porcellino. Dalle 12.30 giro in carrozza alla scoperta dei dintorni rottaresi. Presso il Palasagra area parrocchiale dalle 12 Al disna’ d la duminica (senza prenotazione) pranzo tipico con menù degustazione. Area parco giochi dalle 14 intrattenimento bimbi; alla biblioteca comunale “Daniela Golfrè” dalle 14.30 laboratori di ascolto e di attività manuali per bambini di tutte le età. Piazza del paese alle 16.30 pesatura del purcat proclamazione e premiazione del vincitore della gara di stima. A seguire spettacolo con lo sputafuoco. Quest’anno in occasione della sagra sarà organizzata un’apposita e gratuita area per camper proprio in centro paese é consigliata la prenotazione del posto !
VIAGGIO A SETTIMO ROTTARO E AL CASTELLO DI MASINO
Da qualche anno c’è in paese l’idea di realizzare un nuovo libro su Settimo Rottaro da affiancare a quello già esistente che raccoglie le memorie storico-religiose fino al 1925/1926. La nuova edizione sarà strutturata in due tronconi. Una prima parte più “scientifica” che riguarderà gli aspetti geomorfologici, ambientali, storici, religiosi, artistici, curata da studiosi specializzati nei vari settori sopra indicati, ed una seconda parte dedicata invece agli aspetti più “popolari”; quelli legati alla vita quotidiana, alle tradizioni e alle abitudini conosciute dei rottaresi nell’ultimo secolo.
Settimo Rottaro è situato sull’estremo confine del Canavese orientale, arrampicato sui fianchi di una collina, poco distante dal Lago di Viverone. Il toponimo deriva dal latino septimum lapidem (la settima pietra che indicava la distanza sulle strade romane). Rottaro deriverebbe invece darovearum, antico nome di una collina poco distante ricca di roveti. Altra ipotesi sarebbe dal latino ruera, ad indicare la strada rotabile, motivo per il quale furono disegnate tre ruote di carro nel suo stemma araldico. Le prime tracce documentate del borgo risalirebbero soltanto al 1227, epoca in cui si affermava la potestà della chiesa di Ivrea; in quel periodo, appena conclusasi l’esperienza del libero comune, Settimo Rottaro fu soggetto all’autorità vescovile eporediese.
Protetto dai Valperga e dal vicino Castello di Masino, il paese sarà fra i protagonisti delle rivolte nobiliari del Canavese, scontrandosi spesso coi San Martino, fedeli ai Savoia. Il borgo fu conquistato da Facino Cane nel 1396, annesso quindi al Monferrato e lasciato ai Lomello, già conti di Trino e Cavaglià. Nel 1431, la politica espansionistica dei Marchesi del Monferrato si scontrò con gli interessi dei duchi sabaudi. Questi ultimi, nel 1432, ottennero i territori a sinistra del Po, inizialmente amministrati da Amedeo VIII di Savoia. Anche i Valperga si sottomisero a questi ultimi, aiutando altresì a sedare le rivolte popolari dei Tuchini, come accadde anche al vicino Vestignè. Settimo Rottaro fu quindi amministrato dai Savoia, fino a epoca moderna.
Nel XX secolo, il paese ebbe la fama di produrre un ottimo vino Erbaluce passito, dal vitigno omonimo, noto nella zona canavesana, tuttavia tale tradizione con il tempo si perse. Prese invece vita la tradizionale sagra del salame di patata, prodotto tipico tuttora molto apprezzato e che, in occasione della tradizionale sagra fa affluire a Settino Rottaro gente da tutto il circondario ed oltre. In occasione della sagra si può visitare oltre al grazioso paese anche il vicino castello. Degne di nota a Settimo Rottaro, la chiesa parrocchiale di San Bononio abate patrono, del 1787, su disegno dell’architetto tardobarocco Carlo Andrea Rana, eretta sulle rovine della cella omonima, a sud del paese, dove il santo bolognese, abate di Lucedio (VC), si ritirava in preghiera nell’XI secolo e la chiesa della Confraternita della Trinità, sita in posizione più centrale, sulla Via Commendator Vachino.
Non lontano da Settimo Rottaro, a Caravino, su una collina morenica al centro della piana di Ivrea, sorge il Castello di Masino, per dieci secoli residenza principale dei conti Valperga di Masino. Fino al Rinascimento la fortezza venne difesa da alte mura e imponenti torri di guardia, poi abbattute per far posto a monumentali e splendidi giardini di fattezze romantiche e tipiche dell’Italia aristocratica.
La fortezza narra la storia piemontese ed italiana attraverso le sue numerose stanze monumentali, come i saloni affrescati e riccamente arredati con mobili di raffinatissima fattura, le camere per gli ambasciatori, gli appartati salotti e, in particolare, l’appartamento di Madama Reale così chiamato per la lunga permanenza di Giovanna Battista di Savoia Nemours, residenza privata arricchita da preziose quanto fragili sete e da un raffinatissimo letto a baldacchino. Tra le sale più affascinanti vi è anche il salone da ballo, con le ampie finestre, che creano una perfetta armonia tra il panorama esterno e gli interni affrescati.
Costruito nell’XI secolo per volere della famiglia Valperga, solido casato elevato al rango delle principali dinastie regnanti europee, supposti discendenti di re Arduino d’Ivrea, primo re d’Italia, il Castello di Masino, a causa della sua posizione strategica che permetteva il controllo su un ampio territorio tra Ivrea e la Valle d’Aosta, fu subito teatro di numerose battaglie tra le varie famiglie nobili dell’epoca (Savoia, Acaia, Visconti e gli stessi conti di Masino) che si contendevano la zona del Canavese. Grazie a tali battaglie, i Masino prima e i Valperga poi, divennero tra le famiglie più rappresentative di quel potere feudale che nel Medioevo dominò le terre del Canavese. Nel XVI secolo il castello venne demolito e ricostruito completamente dai francesi, assumendo la funzione di dimora signorile. Intorno al 1780 fu avviata una nuova generale opera di rinnovamento orientata verso il più moderno gusto neoclassico. Artefici di questi interventi furono due importanti esponenti della famiglia, i fratelli Carlo Francesco II di Masino, vicerè di Sardegna, e l’abate Tommaso Valperga di Caluso, matematico e poeta, una delle menti italiane più brillanti della cultura dei Lumi.
A quest’ultimo si deve l’ideazione del complesso programma iconografico della Galleria dei Poeti (1811 – 1814), nonché l’importante biblioteca, che custodisce più di 20.000 volumi. Gran parte del fascino di questa nobile residenza, che sul finire del Settecento andò assumendo la funzione di dimora di campagna, sta nelle innumerevoli testimonianze culturali e di gusto accumulatesi nel tempo, mantenute dalle diverse generazioni con grande cura e rispetto della tradizione. All’ineguagliabile dedizione e competenza della marchesa Vittoria Valperga si deve, in particolare, la conservazione dei beni della casata. Nel 1988 alla morte dell’ultima abitante della residenza, Vittoria Leumann, moglie del conte Cesare Valperga, il figlio, Luigi Valperga di Masino, cedette il castello al FAI con il compito di conservare la memoria storica di questa importante famiglia aristocratica e colta del Piemonte. Non meno interessante dei saloni di rappresentanza è la ricca collezione di carrozze del XVIII e XIX secolo, per la maggior parte della famiglia Valperga, conservata nel Palazzo delle Carrozze, attiguo alle scuderie settecentesche, un edificio a se stante alla base dell’entrata principale della residenza.
Le dodici carrozze, per lo più ottocentesche, comprendono tutte le tipologie del tempo, il coupé e il vis-à-vis, la carrozza di gala, il carrozzino per bambini con gli accessori e i preziosi tessuti di rivestimento. Sono presenti i nomi dei più famosi costruttori di carrozze italiani come i Goggia, Cesare Sala e Giuseppe Panigoni di Torino.
Il castello è circondato da uno splendido parco che rivela ancora oggi le trasformazioni che si sono succedute nel Sette-Ottocento. L’intera area verde è organizzata in due settori distinti, imperniati sul castello e orientati in direzione levante-ponente secondo la morfologia del terreno: dalla spianata si diparte verso ovest un maestoso viale, fiancheggiato da tigli, che termina nella distesa erbosa, dove è possibile visitare il labirinto, tipico dei giardini “all’italiana” della seconda metà del 1700.
Al confine della radura si diparte la particolarissima “Strada dei ventidue giri” realizzata tra il 1840 e il 1847, che con il suo percorso impervio collega Strambino al castello.
Nel settore di levante tipicamente”all’inglese”, in cui prevale l’aspetto diversificato e spontaneo della natura, libera di crescere quasi senza costrizioni progettuali, si aprono ampie distese erbose, livellate a piani diversi. Qui in primavera fioriscono le 7.000 spiree che impreziosiscono il giardino progettato dal Peyrone. Sul terrazzamento est, posto tra il torrione rotondo e la torre dei venti, ai piedi del bastione, si trova il giardino dei cipressi che conserva i segni dell’impostazione geometrica e architettonica propria del “giardino all’italiana”. La visita al castello offre l’occasione per ammirare, nella cornice dello splendido parco, il labirinto di siepi, il secondo labirinto d’Italia per estensione. Mille metri di siepi realizzate come una volta, utilizzando duemila piante di carpini tagliati con maniacale regolarità e ricostruendo scrupolosamente il disegno settecentesco ritrovato negli archivi.
Il labirinto botanico del Castello di Masino, tornato a nuova vita un impegnativo restauro, offre l’impagabile sensazione di perdersi tra le sue pareti verdi.
La parola labirinto trae origine dalla storia cretese: fu il re Minosse ad affidarne il disegno all’architetto Dedalo e al figlio Icaro per rinchiudervi, senza possibilità di scampo, il terribile Minotauro, metà uomo e metà toro. A sconfiggere il mostro, che nella sua prigione divorava fanciulle e giovani ateniesi, fu l’eroe Teseo, grazie a un’idea della figlia del re Minosse Arianna, di lui perdutamente innamorata. Arianna donò a Teseo un gomitolo di lana, il cui filo egli tese tra le siepi del percorso per ritrovare la strada una volta entrato. Grandioso gioco, ma anche metafora della vita, il labirinto riesce ancora oggi ad affascinare e accogliere chi, perdendosi in esso, si presta a dedicare tempi lunghi alla meditazione e al silenzio. Il percorso di visita comprende: i saloni affrescati, i salotti e la collezione di carrozze del XVIII e XIX secolo, il parco ed il labirinto. Uno spiraglio di corte principesca sopravvissuto nel ventesimo secolo.