Sabato 7 e domenica 8 ottobre torna la Sagra della Castagna a Rasura, in Valtellina, manifestazione gastronomica che quest’anno festeggia la 34esima edizione. Dai primi piatti ai dolci, la castagna avrà un ruolo da protagonista nei menù preparati dagli esperti cuochi della Pro Loco di Rasura.
Verranno proposti piatti originali come: polenta con costine alle castagne, tagliatelle di castagne ai funghi porcini, gnocchetti alle castagne saltate in padella con burro, pancetta e porro, mac (minestra di castagne, latte e riso), risotto alle castagne e salsicetta, oltre ad affettati misti, carpaccio di bresaola e bastoncini di formaggio e miele. Non mancheranno i dolci: monte bianco e torte alle castagne. La Sagra delle Castagne si svolgerà presso il Polifunzionale di Rasura, un ambiente accogliente con 1100 posti a sedere tutto assolutamente al coperto.
Questo il programma nel dettaglio: sabato 7 dalle 19 apertura degli stand gastronomici; verranno servite portate a base di castagne, dai primi ai dolci e prodotti locali; alle 20.30, Mundìn, caldarroste a volontà, a seguire serata danzante con l’orchestra Lesina Band e spettacolo di fuoco con Zarisa. Domenica 8 alle 10, apertura del mercatino del contadino con prodotti locali; alle 10.30 Santa Messa presso la parrocchia di Rasura; dalle 11.30, pranzo in compagnia, verranno servite portate a base di castagne, dai primi ai dolci e prodotti locali, alle 14 si aprono le danze con l’orchestra Lesina Band, nel pomeriggio estrazione Premi pro parrocchia. Varie le attività collaterali: attività per bambini, arrampicata indoor, truccabimbi con Francesca Fiorini e volo aerei e aquiloni a cura dell’Ecomuseo. Per illustrare ai visitatori le tradizioni legate al tipico frutto autunnale, si svolgerà una dimostrazione di battitura e di vaglio delle castagne.
Secondo tradizione dopo circa un mese di affumicamento si procedeva alla battitura delle castagne. Era un avvenimento importante che animava le contrade.
TRADIZIONI: BATTITURA E VAGLIO DELLE CASTAGNE
In alcuni paesi della bassa Valtellina il padrone della grat (il graticcio) chiamava i suoi clienti che, senza eccezione, dovevano presentarsi per la battitura; era un’operazione che non si poteva rimandare nemmeno di qualche ora perché le castagne si dovevano battere calde, appena tolte dalla grat.
Radunati intorno ad un grande ceppo, i proprietari delle castagne cominciavano ad infilarle in speciali sacchetti (sachéi de pésta), tessuti appositamente con canapa grossa affinché fossero più robusti possibile. Erano stretti e lunghi 60/70 centimetri, si riempivano a metà poi, uno per mano, venivano battuti sul ceppo con movimenti ritmici da tutti i partecipanti.
Dopo una decina di minuti i sacchetti venivano svuotati dentro un pelòrsc, una specie di coperta grezza in canapa e lana. Attorno agli uomini che battevano, c’era una nutrita schiera di donne che compivano un’altra importante operazione: la vagliatura. Con il val, una specie di largo ventaglio di legni intrecciati, venivano eliminate le bucce con un’operazione faticosa e monotona.
Altre donne intanto rammendavano i sacchetti di canapa che, nonostante la loro robustezza, si rompevano spesso. Terminata l’operazione di vagliatura la maggior soddisfazione per il proprietario della grat era che pochissime castagne portassero la gea (la pellicina che avvolge i frutti) perché questo significava che il lavoro era stato fatto bene.
Non in tutti i paesi per battere le castagne si usavano i sacchetti di tela di canapa. Per esempio in Arigna si procedeva in un altro modo. Dopo l’essiccatura le castagne venivano fatte cadere da un’apertura presente nel graticcio in una gerla posta sul caval (legno sul quale si appoggiava la gerla per tenerla in alto) al centro della grat.
Quando questa era piena veniva versata in un grosso ceppo di castagno scavato al centro a mo’ di mortaio: la sciüca. Le castagne venivano quindi pestate con un apposito strumento il pisù o pisun. Era una specie di martello di legno in fondo al quale erano conficcati dei chiodi che servivano appunto a rompere il guscio delle castagne. Tre persone (due da una parte e uno dall’altra) ciascuna con in mano il suo pisù, lasciavano cadere ritmicamente questo attrezzo sulle castagne per alcuni minuti fino alla completa sgusciatura. Terminata la battitura le castagne si passavano quindi al ventilabro, mulinel, o vagliate con il val. Il vaglio veniva usato dalle donne che, con abilità, lo agitavano con brevi e rapidi movimenti ritmici in alto e in basso, a destra e a sinistra. La polvere prodotta durante la vagliatura in dialetto si chiama fofa. I Puntasch (abitanti di Ponte) un tempo chiamavano i Rignasch (abitanti di Arigna) maia fòfa. I mucchietti di mondiglia che rimandavano a terra erano utilizzati come strame oppure bruciati l’anno successivo nella grat. La cernita era l’ultima operazione eseguita, in genere, dalle donne.
Le castagne venivano passate in appositi setacci (cribbi) a trame differenti per ripulirle definitivamente dai residui; inoltre si toglievano quelle marce o intaccate dal verme che venivano date ai maiali o, bollite, alle mucche. C’erano poi quelle che avevano ancora il guscio o la pellicina interna e dovevano perciò essere battute un’altra volta. Infine si mettevano da parte, riposte in apposite cassapanche, quelle bianche e grosse: i castegni pesti. Anche queste erano divise in due parti a seconda della pezzatura in quanto quelle più grosse impiegavano più tempo a bollire. Quelle di prima scelta venivano in parte vendute le altre si portavano al mulino e macinate; davano una farina dolciastra che serviva per preparare pane e dolci. Molte donne si recavano al mercato di Sondrio e le vendevano al prezzo di una lira al chilogrammo. Per gli abitanti di Arigna era tradizione regalare un sacchetto di castagne bianche agli abitanti dei paesi vicini (Ponte, Chiuro, Castionetto) con i quali erano in rapporto per la tessitura della canapa che serviva per realizzare i pelorsc. Quando i Rignasch scendevano a valle con le loro caratteristiche gerle per prendere i gomitoli di canapa da tessere, avevano sempre i castegni pesti da donare in segno di stima e di amicizia.
Notizie estrapolate dal sito: http://www.icponte.gov.it/ipertesti/ambiente_alpino/gbattitu.htm
VIAGGIO A RASURA IN VALTELLINA
Rasura (Rèsüra in dialetto valtellinese), comune della provincia di Sondrio, in Lombardia, è un paesino montano che sorge a circa 800 metri d’altezza nella Valle del Bitto di Gerola (Alpi Orobie Valtellinesi). La parte medio/alta del territorio Comunale si trova all’interno del Parco Regionale delle Orobie Valtellinesi dove l’ambiente Alpino e alpestre predomina incontrastato. L’abitato è posto su versante ai piedi della Cima Rosetta (2140 metri d’altezza). Verso nord, da tutto il territorio comunale si ha una meravigliosa vista sulle Alpi Retiche ed in particolare sul Granitico Gruppo del Masino/Disgrazia e dei ghiacciai della Val di Mello e di Preda Rossa.
Verso sud la vista spazia sulla testata dell’alta Val Gerola con il Torrione di Tronella e il Pizzo Trona in primo piano.
Rasura è il secondo paese, dopo Sacco, che si incontra salendo la Valgerola e lo si raggiunge percorrendo la SP 7 della Valgerola (ex SS 405) che parte dal centro storico di Morbegno appena superato il torrente Bitto a San Rocco (8 chilometri). Due chilometri oltre Sacco, superato il ponte sul torrente Fiume, si giunge alle porte di Rasura: ignorati due svincoli (a sinistra per le case del Dosso, a destra per Mellarolo), dopo una semicurva destra si incontrano le prime case del paese. Nota curiosa: nel simbolo del comune di Rasura campeggia un ippocastano, albero qui molto diffuso. Sino a poco fa qui si trovava anche un enorme esemplare di ippocastano (325 cm di circonferenza e 25 metri di altezza), classificato fra gli alberi monumentali della Provincia di Sondrio che purtroppo, a causa di una malattia si è dovuto recentemente tagliare.
Rasura deriva il suo nome, rasus, dalla conformazione territoriale che lo ospita: radura, ovvero terreno disboscato, con riferimento a qualche antico disboscamento. L’abitato infatti si presenta immerso nel verde delle pinete con le sue case adagiate tra dolci ed ampi dossi. La strada statale divide a metà il paese e la parte più vecchia è sviluppata attorno alla chiesa, sotto la strada.
L’abbondanza di pascoli e la vicinanza con il fondovalle hanno fatto sì che molti edifici fossero ristrutturati e la popolazione continuasse a vivere in paese. Per scoprire le caratteristiche di questo paese della Val Gerola è interessante percorrere la vecchia strada che porta a Sacco oppure spingersi, magari con gli sci d’alpinismo, fino alla Cima della Rosetta e scorgere, dall’alto, quelle che erano le abitazioni e gli alpeggi. Da qui transita la “Via del Bitto” ed il Vecchio Ponte del Picco testimonia il vecchio tracciato. Grazie all’intraprendenza privata è possibile visitare un vecchio mulino ora adibito a museo e rivivere quelle che erano le fasi dalla lavorazione del granoturco, del grano saraceno, ingredienti principali della farina per la polenta taragna.
Guardato da Sacco, il paese si mostra in tutta la sua pittoresca bellezza: dalla fascia di boschi e prati emergono le case e, soprattutto, l’alto campanile della chiesa di S. Giacomo di origine medievale, ma rifatta e riconsacrata nel 1610; sullo sfondo, a far da splendida cornice, le cime più belle della testata della Val Gerola, vale a dire, da sinistra, il pizzo ed il torrione della Mezzaluna, il pronunciato pizzo di Tronella ed il pizzo di Trona (piz di vèspui).
Rasura non ha un territorio molto ampio (5,53 kmq). Sacco e Mellarolo (menaröla) appartengono, infatti, ancora al comune di Cosio Valtellino.
Il piccolo comune, meno di 500 abitanti, con il suo splendido versante montuoso, i luminosi alpeggi di Ciof e Culino, l’omonimo laghetto, la facile e panoramicissima cima della Rosetta (2147 metri), meta assai frequentata da escursionisti e sci-alpinisti, è un piccolo comune ma dalla grande storia, che risale infatti al Medioevo. Citato per la prima volta nel 1244, il paese rientrava nella squadra di Morbegno del Terziereinferiore della Valtellina e, dal punto di vista religioso, apparteneva alla pieve di Olonio. La già citata chiesa di S. Giacomo divenne, nel secolo successivo vicecura (1368) e parrocchia autonoma (1376).
L’ECOMUSEO DELLA VALGEROLA
La storia della Valgerola si è da sempre contraddistinta per la sua gente: fiera delle tradizioni, legata alla terra ed origini, unita nell’identità, con grande senso di comunità e di appartenenza. Le emigrazioni in luoghi vicini o lontani, la transumanza nelle stagioni, il quotidiano spostamento, hanno caratterizzato la vita degli abitanti, forgiandone il carattere semplice e ospitale. Il territorio montano, nel Parco Orobie Valtellinesi, si caratterizza per la presenza di insediamenti abitati a quote elevate, sorti nei secoli in relazione alle tradizionali attività agricole, di allevamento e utilizzo di boschi e miniere.
L’Ecomuseo della Valgerola rappresenta un elemento di unione fra passato e futuro, di identità e sviluppo sociale, per riscoprire e valorizzare storia, tradizioni e cultura locali, attraverso i segni del tempo (formazioni geologiche, reperti fossili), il paesaggio naturale (prati, alpeggi, boschi, laghi, flora e fauna), i segni dell’uomo e della fede (edifici ed opifici, chiese, usi, costumi..), i prodotti tipici (Bitto e Mascherpa), la Capra di Valgerola.
L’Ecomuseo è stato formalmente costituito dal Comune di Gerola Alta con il coinvolgimento delle associazioni, degli operatori e della popolazione. Dal 2010 l’ambito territoriale dell’Ecomuseo è stato esteso ai Comuni di Pedesina, Rasura e Cosio Valtellino. Il territorio è principalmente montano ed è posto tra i 400 e i 2500 metri d’altezza e inserito nella parte elevata nel perimetro del Parco Regionale delle Orobie Valtellinesi. Questo patrimonio ambientale si caratterizza per la presenza di insediamenti abitati in alta quota, sorti nei secoli, in relazione alle tradizionali attività agricole, all’allevamento e all’utilizzo dei boschi e miniere, sfruttando la forza motrice dell’acqua. Nonostante il riconoscimento ufficiale sia avvenuto solo nel 2008 le attività proprie di un Ecomuseo erano però già in corso da parecchi anni, attraverso le azioni promosse dai vari gruppi e dalle associazioni.
Tra i prodotti tipici della Valgerola il posto d’onore è detenuto dal formaggio Bitto, gli fanno però da contorno altre eccellenze alimentari quali la mascherpa, il formaggio di latteria, il miele di montagna e i prodotti agricoli. Non vanno poi dimenticati i grandi prodotti dell’artigianato montano. Il legno è la principale materia prima utilizzata per i prodotti artigianali in Valgerola. Di legno sono gli strumenti per la lavorazione del latte e la produzione di burro e formaggio. Anche gli attrezzi agricoli utilizzano lo stesso materiale e ogni contadino li realizzava con le proprie mani.
Oggi la produzione di gerle, rastrelli, fascere, stampi per burro, ecc. è ormai abbandonata, solo pochi anziani conoscono i segreti per la loro realizzazione. L’Ecomuseo attraverso corsi specifici ha cercato di avvicinare la gente alle antiche lavorazioni insegnando a realizzare gerle con materie prime trovate in loco.
Con il legno si realizzano inoltre oggetti vari come zoccoli, ciapei, cucchiai, soprammobili, oggetti per la casa e souvenir. In valle esistono anche falegnamerie che producono mobili su misura.
Oltre al legno esistono artisti che lavorano le difficili pietre locali per trasformarle in importanti opere. Sono poche le donne che ancora lavorano la lana per produrre filati e manufatti vari, la lavorazione artigianale è destinata quasi esclusivamente a rappresentazioni folcloristiche.Non ultima viene la lavorazione e battitura del rame realizzata da artisti locali per la produzione di manufatti quali piatti, oggetti per la casa ed elementi d’arredo.