Petra, la città nella roccia

“Petra è il più bel luogo della terra. Non per le sue rovine, ma per i colori delle sue rocce, tutte rosse e nere con strisce verdi e azzurre, quasi dei piccoli corrugamenti, e per le forme delle sue pietre e guglie. E’ larga appena quanto basta per far passare un cammello. Ne ho letto una serie infinita di descrizioni, ma queste non riescono assolutamente a darne un’idea. Quindi tu non saprai mai che cosa sia Petra in realtà, a meno che non ci venga di persona”.

E’ la descrizione di Thomas E. Lawrence, ovvero Lowrenz d’Arabia, agente segreto inglese e scrittore.

Il Siq che conduce al Tesoro

Petra. In greco roccia. Patrimonio dell’Unesco ed uno dei siti archeologici più suggestivi e affascinanti mai scoperti. Si potrebbe, forse rinunciare a vedere qualsiasi altro luogo sul pianeta, ma non Petra. Negli occhi del viaggiatore, come nei miei, restano fisse le immagini maestose e surreali di questa località.

Antica città di pietra, a 250 chilometri da Amman, capitale della Giordania, piccolo stato del Medio Oriente, affacciato sul Mar Rosso e confinante con Siria, Iraq, Arabia Saudita, Israele e Territori Palestinesi.

Vasta una trentina di chilometri, nella parte più interna del sito, 250 se si considera l’intera zona, Petra sorge a 1100 metri sul livello del mare. Anticamente era una stazione carovaniera molto ricca, soprattutto grazie ai commerci dei nabatei, popolo di commercianti arabi. Ma dopo un periodo di splendore economico, venne dimenticata. Nota, ai nostri tempi, grazie all’ingegno del viaggiatore svizzero Johann Burckhardt che, nel 1812, recandosi da Damasco al Cairo, sentì parlare di una città stretta fra montagne impenetrabili, in una gola nel deserto. Proprio come si presenta oggi.

Grazie alla conoscenza dell’arabo, travestito da commerciante musulmano, riuscì ad entrare a Petra, facendosi largo tra le oscure pareti arenarie dove il sole filtra a mala pena solo in alcune ore della giornata.

Le rocce multocolore di Petra

Lungo l’itinerario disegnò la mappa del luogo e la pubblicò. La stessa mappa che è attuale per ogni viaggiatore odierno, anche per me. Ci si addentra lungo il corridoio occidentale di pietra, in alcuni punti largo pochi metri. E’ il Siq che conduce a Petra.

Unica via di accesso. L’imponente Siq, un’immensa simmetrica spaccatura nella montagna, ha creato due pareti di sfumature arancio-rossicce, una opposta all’altra. E’ come se la montagna stessa si fosse divisa per consentire l’accesso al suo interno. E’ come se la mano di un gigante avesse separato un pezzo di mondo. Le pareti del Siq si elevano fino a 80 metri, ma ad osservarle dal basso paiono infinite. Nel corso di duemila anni, sono state erose, levigate e “addolcite” dal vento e dalla pioggia che, come sapienti scultori hanno modellato, come morbida creta, la roccia. E’ una lunga strada nel cuore del monte. Le svettanti e sinuose mura di pietra rossa sono così vicine tra loro che paiono sfiorarsi. Inutile resistere alla tentazione di toccarle, di accarezzarle, di sentirle sotto le proprie dita. Le osservo e, ogni volta, mi sembrano mutare aspetto. Ora sono seta leggera incastrata sulla pietra. Ora sono serpenti rossi che strisciano lungo le pareti. Ora fiumi di lava violacea.

Il monastero di Petra, foto di Monica Genovese

Si cammina con il fiato sospeso, con forti emozioni che si susseguono nel cuore e con la voglia di catturare ogni più piccolo dettaglio per ricordarlo per sempre. Qui non va tralasciato nulla. Al termine del Siq, si apre all’improvviso, dopo un percorso di circa due chilometri, una prospettiva inattesa.

Visitando Petra a dorso di cammello

Il “Tesoro del Faraone” (I sec. d. C.), il primo tempio. E si apre davvero, non solo in senso letterale, poiché il canyon si interrompe bruscamente in una valle ellittica, la “valle dell’Urna”, in cui troneggia, appunto il Tesoro. Realizzato nella montagna. Non costruito fuori da essa. E’ scavato e posto a rilievo, come tutti gli altri edifici. Surreali templi, tombe regali, camere funerarie, sale da banchetto, cisterne che, nate dalla e nella pietra, creano perfette geometrie e architetture. Tutte hanno resistito ai millenni, ai saccheggi, ai terremoti, portando fino ai giorni nostri una città che sembra arrivare direttamente dal passato. Scenario ideale per l’ambientazione di film, quali “Indiana Jones e l’ultima crociata”, realizzato, nel 1989, proprio a Petra.

Anticamente si riteneva che il Tesoro conservasse un bottino, infatti si possono notare i fori dei proiettili che i tiratori beduini dirigevano verso l’urna, posta sul tempio, nella quale speravano ci fosse la ricchezza. Speranza vana. Sotto l’inclemente sole estivo della Giordania, rigorosamente a piedi, a cavallo o, per un tratto a dorso di asini, ci si innamora di Petra, proprio come Lowrenz d’Arabia. Il terreno è privo di vegetazione, arido e infuocato. Tutto qui appare del colore del tramonto. Petra è l’ingegno umano e l’arte della natura. E’ un compendio di perfezione voluto dall’uomo e dal vento, dal deserto e dalla morfologia del territorio. Dietro ogni angolo della città, nascosto da qualche masso, si scoprono le abitazioni di una volta, come caverne elaborate. Alcune famiglie berbere, ancora adesso vivono qui nelle loro tende.

Tra le tombe dei Nabatei

Gli arabi ritengono che sia magica, creata per volere degli spiriti e, nonostante il sito sia oggetto di costanti studi storico-archeologici, non si può fare a meno di pensare che, forse un tocco di magia ci sia davvero.

di Monica Genovese