
Verso Bora Bora
Isole della Società, porta del Paradiso.
Polinesia e low cost vi sembra un binomio impossibile ? Non è così, si può esaudire il sogno di una vita, una lunga vacanza alla scoperta delle splendide isole del Pacifico senza dover accendere un mutuo !
Bastano alcuni piccoli accorgimenti ed è possibile esaudire questo sogno. Prima di tutto il volo e, come dovrebbe essere fatto anche per ogni viaggio, meglio prenotare con largo anticipo, almeno 4 mesi prima (le migliori tariffe si possono trovare su un sito comparatore di voli). Ovviamente non esistono voli diretti dall’Italia, esistono buoni collegamenti via Parigi o via Los Angeles. Evitare, se potete i periodi di alta stagione, vacanze natalizie in primis, ma anche l’estate.

Acque cristalline….
Meglio optare per le mezze stagioni, primavera e autunno, la tarda primavera anche meterologicamente si presta bene ad un viaggio in Polinesia. Seconda cosa fondamentale acquistare già dall’Italia un Air Pass di Air Tahiti in modo da poter visitare ad un prezzo ragionevole varie isole, anche le più remote come le Marchesi (itinerario a propria scelta, in massimo 28 giorni). Terzo evitare le classiche strutture di lusso o i sontuosi bungalow sospesi su palafitte che caratterizzano la Polinesia, bensì orientarsi sulle pensioni a gestione familiare, una scelta che, oltre a farvi risparmiare, vi permetterà di stare direttamente a contatto con la popolazione locale. I polinesiani, difatti, oltre a preparare, per chi lo desidera, pranzi e cene luculliane, o cestini da viaggio per i pic nic, saranno ben lieti di portarvi in giro con i loro mezzi, jeep, piccole barche, biciclette, per visitare liberamente e a basso costo le meraviglie che caratterizzano sia l’entroterra che la parte costiera delle diverse isole polinesiane. Imperdibili, ad esempio, i pic nic su un motu (isolotti corallini), le lunghe passeggiate a piedi, la visita ad un azienda per la coltivazione delle perle, la pesca sportiva (anche per principianti), lo snorkelling e, ovviamente, le immersioni subacquee (anche i neofiti possono approfittare del “battesimo con il mare” con istruttore).
Anche per quanto riguarda il cibo si può risparmiare evitando i ristoranti lussuosi, optando invece per i piccoli snack bar che si trovano ovunque oppure le simpatiche “roulotte”, camioncini attrezzati come piccoli ristoranti mobili, dove poter acquistare ad un prezzo modico anche il succulento pesce crudo marinato nel latte di cocco ed aromatizzato con il curry. Infine, se una sera non avete proprio voglia di uscire, sono molte stanze o bungalow delle pensioni a gestione familiare, chiamate anche logement chez l’habitant (sistemazione in famiglia), dotate di un angolo cottura dove poter autonomamente cucinare i propri pasti (meglio evitare di far acquisti alimentari nei negozi a gestione cinese, sono i più cari).
Adesso vi racconteremo le tappe del nostro lungo viaggio in Polinesia, quasi un mese trascorso tra isole meravigliose da Tahiti alla lontana Ua Pou nell’arcipelago delle Marchesi, passando per Moorea, Bora Bora, Maupiti, Rangiroa e Nuku Hiva.
L’accoglienza all’aeroporto di Papeete, a Tahiti, è quanto di più allegro e colorato un turista possa aspettarsi. Mentre un’orchestrina di chitarre e ukulele suona dolci melodie polinesiane, hostess e agenti turistici si prodigano ad infilare al collo di ciascun viaggiatore una profumatissima collana di fiori. A coloro che invece lasciano la Polinesia è usanza donare una collana di conchiglie.

Passeggiando a Moorea
Dopo un primo impatto così piacevole io e Marco siamo comunque costretti a fare i conti con gli handicap del cosiddetto “ultimo paradiso”. Papeete, capitale della Polinesia e principale città di Tahiti (le altre sono poco più che dei villaggi), ci appare piuttosto scialba nonostante la lussureggiante vegetazione della sua periferia ed il bel lungomare, dove la sera stazionano le “roulotte”, caratteristici ristorantini ambulanti. A rendere, poi, ben poco paradisiaco il nostro primo approccio con la Polinesia sono i prezzi, spesso esosi, di alberghi, beni di consumo e servizi. L’alto costo della vita deriva dallo squilibrio della fiscalità a favore delle imposte indirette: ogni prodotto d’importazione viene difatti pesantemente tassato per alimentare gli introiti del governo.

Chitarre e ukulele polinesiani
Messi in atto alcuni piccoli accorgimenti per rendere meno esoso possibile il nostro soggiorno esotico, ci lanciamo alla scoperta dei tre principali arcipelaghi: Isole della Società, Tuamotu e Marchesi che, insieme a Gambier e Australi formano la Polinesia, “territorio d’oltremare francese”, dotato di parziale autonomia governativa.
Lasciata Papeete ci addentriamo con un’escursione in jeep nell’entroterra di Tahiti: valli lussureggianti, formate da un unico vasto cratere vulcanico, sono attorniate da picchi che si elevano sino a 2241 metri. Decine di cascate ingentiliscono il paesaggio maestoso. In particolare ci impressiona la storia legata alla cascata Tupuri (tradotto in “casca e muori”) da cui venivano lanciati i prigionieri di guerra delle tribù nemiche. Scopriamo con sorpresa che la popolazione locale in antichità non viveva sulle coste, considerate poco ospitali, probabilmente per il pericolo degli Tsunami. Gli antichi Mah’oi si nutrivano dei pochi alimenti che era possibile coltivare nella terra, in particolare frutta e radici. Oggi diverse specie di piante importate negli ultimi 200 anni stanno provocando degli squilibri nell’ecosistema delle isole facendo estinguere la vegetazione presente nel suolo polinesiano da milioni di anni.

Le strette spiagge polinesiane
La pesca era quasi sconosciuta perché non esistevano ami metallici ma solo quelli realizzati con ossa; di conseguenza, era facile che si spezzassero rendendo vani gli sforzi di procurarsi del cibo pescando. Agli ami metallici è forse legata la prima forma di turismo sessuale al mondo. Quando gli europei sbarcarono per la prima volta nelle isole polinesiane cominciarono a “barattare” gli ami in cambio di favori sessuali da parte delle disinibite e bellissime donne polinesiane. La voce si sparse in tutta Europa, da dove iniziarono lunghi “pellegrinaggi” di uomini di tutti i ceti sociali nella speranza di ottenere i favori delle bellissime donne esotiche che si potevano comprare al prezzo di un amo da pesca. I rapporti con gli uomini bianchi furono tuttavia la causa principale dell’estinzione delle popolazioni autoctone. Il 90% dei Mah’oi morì nell’arco di 150 anni a causa di malattie quali la sifilide, il tifo ed il colera.
Tornando a Papeete visitiamo il mercato locale, dove non mancano gli atelier per il tatuaggio artistico. Daniel, un giovane tatuatore, ci mostra un’inesauribile serie di disegni, molti dei quali risalgono a tempi antichi quando nella Polinesia pre-colonica si praticavano incisioni indelebili sulla pelle come segno di appartenenza ad una comunità, ad un clan, come rito iniziatico o riconoscimento sociale, oltre che come semplice ornamento. Questa pratica, diffusa in diverse civiltà, ha raggiunto un elevato livello artistico e culturale proprio tra le genti ma’ohi (Hawaii-Isole Marchesi-Nuova Zelanda), anzi la stessa parola tatuaggio deriva dal tahitiano tatau che significa, appunto, incisione indelebile sulla pelle.

I meravigliosi colori delle lagune polinesiane
Colpiti dall’originalità dei suoi disegni cerchiamo di scattare qualche foto ma ci blocca subito: “ça c’est Tabu! Tabu!”- ripete in francese con voce vigorosa. Ci spiega che non possiamo fotografare i suoi tatuaggi perché sono portatori di poteri magici. Daniel si vanta che tra i suoi clienti più assidui ci sono malavitosi di varie parti del mondo: molti mafiosi italiani pagano a peso d’oro i suoi tatuaggi i cui poteri magici fanno sì che le pallottole girino alla larga da loro. Sembra che funzioni, visto che ancora nessuno si è mai lamentato per un loro mancato funzionamento… Promettiamo a Daniel che non daremo mai a nessuno le fotografie dei suoi tatuaggi. Nonostante ciò si accomiata da noi avvertendoci di stare attenti, perché se i disegni fossero copiati da qualcuno perderebbero la loro efficacia e noi potremmo ritrovarci nei guai”.

Le colorate barchette di Ua Pou
Prima di lasciare la capitale della Polinesia visitiamo Il Museo di Tahiti e delle Isole. Tra innumerevoli reperti e oggetti d’uso quotidiano pre e post coloniali, sono qui conservate anche le prime tavole da surf della storia. Questo sport fu difatti inventato a Tahiti e poi, attraverso le Hawaii, raggiunse l’Occidente diventando subito molto popolare.
Un brevissimo volo (in Italia abbiamo acquistato, infatti, un conveniente pass aereo) e siamo già a Moorea, l’isola che vanta tra le sue bellezze una tra le più spettacolari baie del mondo, quella di Cook, dal nome del famoso esploratore del Pacifico. I versanti montuosi, ricchi di vegetazione, scivolano dolcemente nelle acque cristalline della laguna, racchiusa dalla barriera corallina. Con entusiasmo partecipiamo ad un’escursione in barca che prevede il tipico “pasto alle razze”, in una zona della laguna dove l’acqua non supera il metro e mezzo. Decine di grandi e docili razze si avvicinano in cerca di cibo, volteggiando intorno a noi come eleganti farfalle.
La serata si rivela altrettanto piacevole: al costo di un semplice drink possiamo assistere, in uno dei grandi hotel di lusso di Moorea ad uno spettacolo di danze polinesiane in tipico costume di fibre vegetali. Lontano dall’essere semplicemente uno svago per i turisti, la danza tradizionale mantiene tutt’oggi una forte valenza culturale e simbolica, con regole e coreografie precise, anche se in tutta la Polinesia non esistono gruppi di ballerini professionisti. Due i balli principali: l’otea, danza collettiva caratterizzata da potenza, ritmo e dall’ipnotico suono di tamburi e percussioni e l’aparima che racconta storie e leggende attraverso la mimica ed i canti accompagnati da chitarre e ukulele. Una delle principali feste di Tahiti, “l’Heiva I Tahiti“, che si svolge tra fine giugno e fine luglio, prevede una serie di concorsi di danze tradizionali alle quali partecipano gruppi provenienti da tutti gli arcipelaghi della Polinesia francese.

Danze tradizionali…non solo per turisti
Decisamente più kitsch, ma molto romantico il matrimonio indigeno formato turista, organizzato dal Tiki Village Theatre. Per una cifra compresa tra i 1000 ed i 1700 euro la coppia, agghindata in abiti principeschi, viene condotta al cospetto del celebrante su una “lettiga reale” sorretta da quattro “guerrieri polinesiani”. Dopo la cerimonia sulla spiaggia, con suggestiva cornice di canti e balli tradizionali, è prevista una crociera in piroga accompagnata da champagne e suonatori di ukulele. Il tutto termina con una romanticissima prima notte di nozze da trascorrere in una grande casa su palafitta sulla laguna. Sembrerà strano, ma questa cerimonia ha, in territorio Polinesiano, un effettivo valore civile, confermato da un documento scritto su tapa, una particolare stoffa non tessuta ricavata dalla corteccia dell’albero del pane o del gelso.
Lasciamo la romantica Moorea per la “perla” delle Isole della Società, la fin troppo mitizzata Bora Bora. Effettivamente la sua laguna è splendida, come anche l’entroterra ricco di vegetazione tropicale, ma quest’isola, ormai votata completamente al turismo, ha in parte perso la sua anima tradizionale. Non esistono quasi più gli antichi fare, le abitazioni tipiche poggiate direttamente sul suolo e costruite in materiale vegetale. I piccoli villaggi hanno casette in muratura, cemento o compensato di legno e tetti in lamiera ondulata, più adatta a sopportare i cicloni. Solo i grandi e lussuosi alberghi dell’isola mantengono un’architettura in stile tradizionale che ben si adatta con l’ambiente. Deserti, selvaggi e immacolati sono però i motu (isolotti bianchi ricchi di palme da cocco), che punteggiano la laguna color turchese di Bora Bora.
Prima di lasciare l’arcipelago delle Isole della Società, decidiamo di fare una capatina alla piccola isola di Maupiti dove giungiamo dopo un movimentato viaggio di 3 ore in barca in balia delle onde del Pacifico. Visitiamo questa graziosa isola in bicicletta rimanendo colpiti dall’usanza degli abitanti di sotterrare ancora oggi i propri morti nel giardino di casa. A Maupiti, come d’altronde in altre isole meno turistiche, non esistono infatti i cimiteri e così lapidi e fiori fanno da cornice ad ogni abitazione. Altrettanto caratteristici i numerosi cartelli con la scritta “tabu”, posti davanti alle proprietà private. La parola tabu, di origine polinesiana, indicava in tempi antichi un’interdizione assoluta ed i trasgressori erano severamente puniti.

Pasto alle razze
TUAMOTU, L’ARCIPELAGO DELLA “BOMBA”
Un altro volo ci porta alle isole Tuamotu, l’arcipelago che per ben 30 anni, è stato scenario degli esperimenti nucleari francesi, effettuati a Moruroa e Fangatanfa dei quali un francese di nome Mario, di origine marsigliese, ci racconta alcuni particolari: arrivato in Polinesia durante il grande boom economico legato agli esperimenti nucleari di Mururoa afferma di aver assistito con i propri occhi a ben tre esplosioni nucleari alla distanza di 2 chilometri in linea d’aria (che ci sembrano pochini francamente…). Un’esperienza tanto affascinante quanto terribile, impressa nei suoi occhi come se fosse successa ieri anche se sta parlando di fatti accaduti oltre vent’anni fa. “Io sono la prova vivente che quelle esplosioni non furono pericolose” afferma con orgoglio Mario – “due giorni dopo i test nucleari (avvenuti nell’atmosfera sovrastante Mururoa) andavo a fare surf e sono ancora vivo e vegeto alla faccia degli ambientalisti che avevano previsto cose inimmaginabili per tutti noi”.

I motu di Rangiroa
Scegliamo per il nostro soggiorno alle Tuamotu, la splendida Rangiroa, atollo corallino costituito da strette lingue di terra al cui interno è racchiusa una laguna cristallina e ricca di pesci. Le Tuamotu sono il paradiso dei sub; i più esperti amano immergersi nell’oceano quando la corrente è rientrante verso la laguna per lasciarsi trasportare attraverso i pass, canali naturali che mettono in comunicazione le acque interne con quelle dell’oceano. Marco decide che Rangiroa è il posto giusto per il suo “battesimo” con il mare, una “passeggiata marina” a 5-6 metri di profondità, seguita da un rassicurante istruttore, mentre io mi diletto nel mio primo snorkelling (immersione senza bombole), un’esperienza bellissima. Nel silenzio ovattato mi godo lo spettacolo offerto da centinaia di pesci multicolore che vengono a prendersi il cibo direttamente dalle mie mani.

Ile aux Recife di Rangiroa
Un’escursione in motoscafo ci porta, poi, all’Ile aux Recife di Rangiroa, isolotto circondato da affioramenti di coralli e lava a cui l’azione erosiva del vento e del mare hanno dato forme appuntite e bizzarre. Il paesaggio è reso ancora più suggestivo dalla miriade di piscine e vasche naturali che brillano tra le varie formazioni coralline. Altrettanto affascinante l’escursione alla famosa laguna blu di Rangiroa, un bacino d’acqua color turchese delineato da una serie di idilliaci isolotti bianchi. Dopo un gustoso pranzetto a base di pesce crudo al latte di cocco, una delle specialità locali, possiamo assistere al famigerato pasto agli squali, un banchetto che rischia però di diventare sin troppo abbondante quando un “paffuto” turista francese, sceso in acqua per immortalare la scena con la sua macchina fotografica subacquea, si avvicina troppo alle esche lanciate dai marinai, ritrovandosi, con terrore, la bocca di uno squalo, per fortuna piccolo, su una spalla !

Squaletti a Rangiroa
Prima di lasciare Rangiroa visitiamo un allevamento di ostriche perlifere. Le perle polinesiane possono essere di qualità A-B-C-D. Più imperfezioni (solitamente piccoli buchi) hanno, più la loro qualità è scadente. Più ci si può “specchiare” dentro e più la loro qualità risulta alta. Impossibile resistere alla tentazione, ed esco soddisfatta dall’atelier con al collo la mia lucente perla nera polinesiana.
SULLE TRACCE DI GAUGUIN
Ancora un volo e raggiungiamo le remote isole Marchesi, dove trascorsero gli ultimi anni della loro vita il pittore Paul Gauguin ed il cantante-poeta Jacques Brel, i cui resti sono sepolti al cimitero di Hiva Oa. Selvagge e ancora poco battute dal turismo, le Marchesi emergono maestose dalle acque blu cobalto dell’oceano. Cime frastagliate si alternano ad altipiani verdeggianti dove regnano incontrastati branchi di cavalli selvaggi di antica origine cilena. Tralasciando le spiagge, purtroppo infestate dagli endemici e fastidiosissimi moscerini nono, ci dedichiamo alla visita dei siti archeologici: marae, luoghi di culto costituiti da grandi piattaforme e terrazze pavimentate, enigmatci tiki, statue sacre antropomorfe scolpite in blocchi di basalto, legno o tufo vulcanico, pae pae, altre piattaforme in pietra sulle quali venivano un tempo edificate le abitazioni in materiale vegetale. Questi siti vengono restaurati soprattutto in occasione del Festival delle Marchesi, evento creato nel 1978 dall’associazione Motu Haka (riunione) dell’isola di Ua Pou. La manifestazione, che si svolge ogni 2-3 anni, intende valorizzare l’identità marchesana, salvaguardando e promuovendo diversi aspetti della cultura locale: danze, canti, artigianato, sport tradizionali e gastronomia.

Tiki a Nuku Hiva
Lasciata Nuku Hiva, la principale delle isole Marchesi, visitiamo Ua Pou, il cui nome, non a caso, significa “I Pilastri”. L’entroterra è difatti caratterizzato dai profili scoscesi di dodici “torri” basaltiche che conferiscono all’isola un aspetto decisamente bizzarro. Qui incontriamo Dudu, un francese appassionato di botanica e antropologia che ci racconta aneddoti a non finire sull’utilizzo delle piante dell’isola. Pensate che lo stilista Jean Paul Gautier scoprì qui le tecniche per utilizzare le fibre vegetali per la realizzazione dei vestiti di alta moda, tecniche poi riprese da moltissimi altri stilisti. L’isola è circondata da una fitta vegetazione tropicale da un lato, mentre dall’altro il terreno cambia completamente conformazione ed i pochi raggi di sole che filtrano dalle nuvole ci permettono di ammirare i colori pastello dei desolati panorami di Ua Pou le cui rocce scendono repentinamente verso il mare blu cobalto. Sull’isola sono presenti numerosi resti archeologici di notevole interesse e misteriosi sentieri di pietra che nei secoli addietro univano gli insediamenti delle tribu che vivevano qui.
Ancor più che negli altri arcipelaghi, le popolazioni Mah’oi dovevano fare fronte alle carestie. Infatti, alle Marchesi rari erano i mammiferi (al massimo qualche roditore) e non esistevano animali da soma o da cortile. Tra le piante descritteci da Dudu la più interessante è senza dubbio l’Albero del Pane i cui frutti in antichità venivano staccati, avvolti con foglie e conservati in fossati con attorno delle pietre laviche. Il cibo poteva restare nelle buche per diversi anni ed essere ancora commestibile. Lo si mangiava proprio nei periodi di grave carestia. Oggi gli anziani delle isole continuano a cimentarsi nella realizzazione di questo piatto “prelibato” nominato Pae Pae, dall’orribile gusto rancido; impossibile per un occidentale solo avvicinarvisi con il proprio naso…

Ua Pou
Ua Pou è rinomata anche per i suoi numerosi atelier artigiani, sistematicamente svaligiati dai turisti-passeggeri dell’Aranui, il cargo che 15 volte l’anno raggiunge le Marchesi partendo da Papeete. I numerosi laboratori propongono abiti “missione”, le tuniche fiorite e ricche di pizzi e balze, introdotte dai missionari al tempo dell’evangelizzazione della Polinesia, parei dipinti, oggetti in madreperla incisa, nonché sculture in osso, pietra e legno. Affascinato dalle capacità creative degli artigiani locali Marco decide di farmi una sorpresa per il mio compleanno commissionando un piccolo squalo, l’animale che più mi affascina e mi terrorizza. La delusione per il risultato finale è più di Marco che mia: l’artigiano realizza, ahimè, un bellissimo….delfino ed il regalo per il mio compleanno sfuma.

Bora Bora
di Claudia Meschini
foto Gianmarco Maggiolini
[nggallery id=8]