Stati Uniti: i grandi parchi dell’ovest

I geyser spenti nel parco di Yellowstone

Un viaggio tra immense distese desertiche, canyon, praterie e foreste, lungo le strade degli States.

Questa è l’America lontana dalle grandi città ma vicina ai “veri americani”, ai discendenti delle tribù indigene, gli “uomini rossi” che hanno abitato i suoi territori da sempre, ma oggi sono costretti a vivervi da emarginati; è l’America dei grandi spazi, delle grandi distanze, dei colori e delle sfumature più incredibili, è l’America in cui si può ancora instaurare un sereno e pacifico rapporto con la natura.

E’ facile incontrare scoiattoli nei parchi americani

Come tutti i viaggi “on the road” negli Stati Uniti anche il nostro (6.700 chilometri) si caratterizza per le lunghe, lunghissime distanze da percorrere in auto, tragitti che talvolta possono comportare, oltre all’innegabile stanchezza, problemi organizzativi e di tempo.

L’itinerario, iniziato a San Francisco, bellissima città ancora a misura d’uomo e così poco americana, ci porta al Sequoia National Park che prende il nome dagli alberi colossali che lo popolano. Lo spettacolo è incredibile: i tronchi hanno circonferenze dai quindici ai trenta metri, le cime svettano anche oltre i cento, e il ciclo della vita copre un arco tra i duemila e i tremila anni. Qui vive l’albero più grande del mondo, il General Sherman Tree, una sequoia il cui aspetto maestoso deriva più che dall’altezza, 83 metri, dalla circonferenza del tronco ad un metro e mezzo da terra: 24 metri ! Germinata migliaia di anni fa da un seme grande come una capocchia di spillo, questa sequoia raggiunge ora il peso di 2145 tonnellate.

Ripercorriamo, poi, una delle strade mito Usa, la Death Valley con i suoi 47 gradi centigradi di temperatura ! Situata al confine tra California e Nevada, deve il suo nome ai tantissimi pionieri che, a metà ottocento, vi morirono nel tentativo di raggiungere i favolosi campi auriferi della costa occidentale. Ancora oggi il vento ogni tanto disseppelisce dalla sabbia i relitti dei carri abbandonati dagli sfortunati pionieri, e il regista italiano Michelangelo Antonioni, quando volle rappresentare in un film tutta la desolazione della solitudine umana, lo girò da queste parti, a Zabriskie Point.

La magia della Monument Valley

Un suggestivo scorcio del Bryce Canyon

Dai colori suggestivi della Valle della Morte passiamo a quelli pazzi di Las Vegas, città fondata nel 1885 in pieno deserto del Nevada. Lasciati gli sfavillanti Casinò e gli alberghi hollywoodiani della mecca del gioco d’azzardo, torniamo ad immergerci nella natura, quella mozzafiato del Grand Canyon. Il tramonto ci coglie al North Rim, punto panoramico che guarda da nord verso sud. Sicuramente si ha davanti a sè uno degli spettacoli più belli del mondo, ma purtroppo il controluce ci impedisce di cogliere appieno le sfumature dei colori che illuminano le rocce. Consiglio, quindi, a chi vuole visitare il Grand Canyon, la visione da sud a nord, sicuramente molto più suggestiva ed emozionante, anche se l’intera zona è turisticizzata al massimo.

Conosciuto in tutto il mondo come il miglior esempio di erosione fluviale, il Grand Canyon costituisce una specie di monumento a dimostrazione della potenza del fiume Colorado. Questa meraviglia della natura (437 chilometri di lunghezza, largo da 6 a 28 chilometri, profondo da 100 a 1800 metri), è molto più che un magnifico canyon dalle dimensioni impressionanti, è innanzitutto un libro dove l’uomo può studiare la storia della costruzione della terra, dell’evoluzione della vita e della potenza dell’erosione.

ALLA SCOPERTA DEL “POPOLO DELLE ACQUE BLU”

Nell’area più remota del versante nord del Gran Canyon National Park, si staglia, maestoso, lo splendido Havasu Canyon che resta tuttora, e vale la pena di dire, per fortuna, una meta sconosciuta al grande turismo: basti pensare che dei 5 milioni di visitatori che affollano ogni anno il Grand Canyon, solo poche migliaia raggiungono la remota riserva indiana del “Popolo delle acque blu”: gli Havasupai (“Havasu” significa blu, “Pai” popolo). A detta di molti, questa è proprio la parte più bella dell’intero parco.

Il canyon è in effetti un’oasi lussureggiante di cascate cristalline, specchi d’acqua più azzurri del cielo, alberi frondosi, campi di mais e meloni, il tutto nascosto in fondo a due ripide pareti rocciose di un intenso rosso brunito, tagliate da un torrente che ha il colore del turchese. Gli Havasupai, che ancora oggi abitano questo piccolo eden, sono una tribù di circa 600 membri. Nei secoli addietro coltivavano il fertile suolo del canyon, per poi trasferirsi sull’altopiano, dove svernavano raccogliendo abbondanti frutti selvatici e legna per il fuoco. Il missionario spagnolo Francisco Garcès visitò la tribù nel 1776 e riferì che si trattava di un popolo felice, pacifico e industrioso. Nonostante tutto gli Havasupai subirono la triste sorte toccata a tutti gli indiani d’America: nel 1882 furono confinati in una minuscola riserva, e gli allevatori si impadronirono delle loro terre sull’altopiano. Solo nel 1975 riuscirono a farsi restituire le dimore invernali sottratte con la forza.

Havasupai Canyon, le cascate Havasu

Per preservare l’identità culturale di questo popolo, i capi villaggio non hanno mai autorizzato la costruzione di una strada che collegasse la riserva al resto del mondo e quindi gli spostamenti sono effettuabili solo a piedi o a dorso di muli o di cavalli. E’ così anche per noi che raggiungiamo questo luogo meraviglioso a piedi, scendendo lungo il canyon per sette ore di “passeggiata”, seguiti da alcuni muli il cui compito è trasportare i nostri pochi bagagli fino al tranquillo villaggio Supai e alle belle cascate che lo circondano. L’escursione in questi bellissimi territori è stata sicuramente la parte più entusiasmante del viaggio in quella zona degli Stati Uniti dove ci si immerge totalmente nella natura, dove si provano ancora sensazioni forti guardando un albero, un deserto, una roccia cangiante.

Tutta la zona del Grand Canyon è, a mio avviso, tra le più belle ed emozionanti degli Usa e percorrerla lentamente in auto dà la possibilità di viverla dal “di dentro”. Ad ogni curva il panorama muta, i grandi spazi americani si spalancano davanti ai nostri occhi rapiti !

Il nostro itinerario ci porta quindi a Page, cittadina dell’Arizona, nelle cui vicinanze scopriamo un’altra meraviglia della natura: Antilope Canyon, una fenditura della terra modellata dal vento. Passeggiando nelle sue viscere ti sembra di sfiorare l’antica Madre Terra, di toccarne con le mani la “pelle”, che ti resta tra le dita sotto forma di sabbia finissima.

Da un’emozione all’altra raggiungiamo il Bryce Canyon, situato a sud ovest dello stato dell’Utha. Qui la roccia sembra vivente: secondo l’ora, il tempo o la stagione, il colore della pietra passa dall’oro al violetto, mette in rilievo le sue forme o le sfuma facendo luccicare una scintillante parure di ossidi metallici. Un sentiero appositamente praticato consente di ammirare il paesaggio fiabesco formato da complessi rocciosi. Per circa 2 chilometri, su una larghezza di 600 metri, si allineano rocce a gradini, colonne simili a guglie, pinnacoli esilissimi, quasi trasparenti, e molteplici forme dentellate che, scolpite dall’erosione, evocano volti e monumenti, la cui gamma di colori brillanti va dall’arancio al rosso scuro.

I pinnacoli del Bryce Canyon

MONUMENT VALLEY: IL DESERTO GOTICO

Non poteva mancare in un viaggio americano, all’insegna della natura e dei suoi spettacoli mozzafiato, la Monument Valley, luogo magico dove puoi veramente fare pace con il Mondo e renderti conto dell’immensa bellezza che ti circonda. Fra tutte le visioni bizzarre offerte dalla terra i rilievi della Monument Valley sono quelle più vicine all’universo fantastico dei sogni. Questo “deserto gotico”, situato su un altipiano dell’Arizona, riproduce con ironico surrealismo i castelli e le cattedrali dell’Europa occidentale. La meravigliosa scenografia della valle, regno degli indiani Navahos, è tutta un monumento alla gloria dei talenti modellatori dell’acqua e del vento.

Arches Park

Arches Park

l nostro viaggio prosegue poi verso est, nella zona di Canyonlands, area primitiva e in parte tuttora inesplorata, vasta ben 250mila acri. Poco battuta anche dagli appassionati degli spazi aperti americani, strutture turistiche pressocchè inesistenti, il parco ci regala un’immersione totale nella natura selvaggia. La stessa sensazione la proviamo passeggiando tra gli spettacolari archi naturali di Arches National Park, nello Utha orientale. Qui la forza della natura si è sbizzarrita creando fantastiche volte scolpite nella roccia dalla millenaria erosione degli agenti atmosferici. Tra gli archi che danno il nome a questo magnifico parco c’è il Landscape Arch (96 metri di ampiezza per solo 60 centimetri di spessore) un vero prodigio della natura !

VERSO I PARCHI VERDI DEL NORD

Lasciando la zona calda del viaggio nell’ovest degli Usa, giungiamo, dopo un lungo ma piacevole trasferimento verso nord, ai parchi verdi, il Gran Teton, praticamente montagna allo stato puro e subito dopo al re dei parchi: lo Yellowstone, meglio conosciuto come il parco dell’orso Yoghi !

Il parco Gran Teton

Il Gran Teton, situato nello Wyoming, ospita numerosi ghiacciai, laghi cristallini e soprattutto uno dei più grandi banchi d’alci esistenti al mondo. Altrettanto ricco di animali lo Yellowstone, il parco più famoso d’America. Deve il suo nome alle rocce giallastre che si trovano nel canyon scavato dall’omonimo fiume che gli indiani Mandan chiamavano Mi tsi a da zi, fiume della roccia gialla. Nonostante la triste visione di intere colline punteggiate di tanti, tantissimi tronchi senza vita, simili a spade infisse nella terra, indelebile ricordo del tragico incendio che devastò il parco nel 1988, restiamo incantati dal paesaggio maestoso, dai fumanti geyser, dalle multicolore cascate calcaree. Decidiamo di dedicare quasi quattro giorni alla visita di questo parco e solo il tempo poco clemente ci farà lasciare un luogo così bello. L’ultimo giorno, dopo aver avuto un incontro ravvicinato con una mandria di bisonti, si realizza per noi l’appuntamento più atteso, quello con l’orso. Era lì, a un centinaio di metri dalla nostra jeep, pronto per i nostri….teleobiettivi !

Durante il tragitto verso Salt Lake City, ultima tappa del nostro viaggio, vistiamo il Crater of the Moon National Park, che deve il suo nome all’analogia con la superficie della luna. Si tratta di un vero e proprio museo di forme vulcaniche con ben 55 coni. Le passeggiate qui si svolgono praticamente “sottoterra”, nei cunicoli creati lungo il suo percorso dalla lava incandescente. Visitiamo, quindi, Salt Lake City, capitale dell’Utha e sede ufficiale dei Mormoni.

“This is the place”. Con questa esclamazione Brigham Young, alla guida di una lunga carovana di Mormoni, fondò nel 1847, dopo una disperata marcia durata un anno e mezzo, la patria della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi dell’Ultimo Giorno. Pulita, graziosa ed ordinata, Salt Lake City, rispecchia appieno la vita sobria ed i rigidi precetti morali dei suoi morigerati abitanti (il 75% dei residenti è tuttora di religione mormone).

Dopo quasi un mese passato “on the road”, lasciamo gli Stati Uniti, questa nazione così complessa e variegata, forse il Paese al mondo con più sfaccettature. Spetta solo a noi saper cogliere quelle migliori e farle nostre.

di Maria Cristina Moreschi

foto Maria Cristina Moreschi