Un cenacolo in cui non si fa solo “da” mangiare, ma si riflette “sul” mangiare.
Un mix di sapori e profumi, frutto di contaminazioni etniche e culturali: dalla montagna al mare, passando per le città d’arte e le colline famose in tutto il mondo per i loro vini eccellenti, la cucina del Friuli Venezia Giulia si rivela straordinariamente ricca, fatta di mille sapori che si intrecciano e si sovrappongono.
Portabandiera del livello di assoluta eccellenza della gastronomia regionale sono i venti ristoranti di Friuli Venezia Giulia – Via dei Sapori che, dai monti della Carnia al mare di Muggia, Trieste e Grado, propongono quanto di meglio offre questa splendida terra dove si incontrano e si fondono tre grandi tradizioni culinarie, quella mitteleuropea, quella slava e quella veneta.
Questa varietà si rispecchia anche nei piatti assolutamente unici dei ristoranti associati: “Ai Fiori” di Trieste (Ts), “Al Bagatto” di Trieste (Ts) “Al Ferarùt” di Rivignano (Ud), “Al Grop” di Tavagnacco (Ud), “Al Lido di Muggia” (Ts), “Al Paradiso”di Paradiso di Pocenia (Ud), “Al Ponte” di Gradisca d’Isonzo (Go), “All’Androna” di Grado (Go), “Campiello” di San Giovanni al Natisone, “Carnia” di Venzone (Ud), “Da Nando” di Mortegliano (Ud), “Da Toni” di Gradiscutta di Varmo (Ud), “Costantini” di Tarcento, “Devetak”di Savogna d’Isonzo (Go), “Là di Moret” di Udine (Ud), “Là di Petròs” di Mels (Ud), “La Primula” di San Quirino (Pn), “La Subida” di Cormons (Go), “La Taverna” di Colloredo di Monte Albano (Ud), “Sale e Pepe” di Stregna (Ud), “Vitello d’Oro” di Udine (Ud).
Insegne di assoluta eccellenza nella cui cucina si mescolano sapientemente tradizione e innovazione. A unirle la garanzia di una cucina eccellente, stuzzicante fil rouge per un goloso itinerario del gusto in Friuli Venezia Giulia. Al piacere della tavola – e di gustare piatti ed interpretazioni sempre diverse – si uniscono poi la calda atmosfera degli ambienti e una cura particolare nell’accoglienza.
Cucina rigorosamente stagionale quella dei ristoranti di Friuli Via dei Sapori, preparata con prodotti del territorio che gli chef contribuiscono a valorizzare, in un ottica di promozione delle materie prime di altissima qualità e di recupero dei prodotti di nicchia e delle lavorazioni tradizionali che altrimenti sarebbero state destinate a scomparire.
Attraverso i loro piatti gli chef (che spesso sono anche i proprietari dei locali), desiderano raccontare la propria terra e le molte contaminazioni storiche e culturali che la rendono unica. Informazioni dettagliate e curiosità su ristoranti e ricette si possono reperire sul sito www.friuliviadeisapori.it o su un’agile brochure che può essere richiesta gratuitamente alla segreteria di Friuli – Via dei Sapori.
In autunno i grandi protagonisti della tavola sono i funghi di montagna, con i formaggi di malga e i grandi salumi friulani (in tavola, funghi porcini alla piastra su foglia di vite, tagliolini con farina integrale ai porcini freschi, tortino di polenta con galletti, funghi porcini al rosmarino con montasio stagionato), in inverno le carni e la cacciagione, mentre per la primavera e l’estate sulla tavola figurano gli asparagi bianchi di Tavagnacco e Fossalon e le erbe di campo in tutte le loro declinazioni e suggestioni, giocate sia con il pesce che la carne, nelle zuppe e nei risotti, (uno su tutti: risotto di erbe aromatiche e sclòpit, la silene).
“Queste stelle del firmamento gastronomico del Friuli Venezia Giulia – spiega Walter Filiputti, presidente del Consorzio Friuli Via dei Sapori – hanno dato vita a un cenacolo incentrato sul rispetto delle tradizioni locali e sul loro rinnovamento. Un cenacolo dove lo scopo non solo quello di “fare e dare da mangiare”, ma anche di proporre, di raccontare, di illustrare e far comprendere la storia che sta dietro ai piatti che vengono serviti al tavolo”. Non banalizzare la tradizione e non rifiutare l’innovazione, capace di stimolare la tradizione stessa sono temi attualissimi nell’evoluzione della nostra cucina: debbono essere affrontati e dibattuti, ma per farlo hanno assoluta necessità di “filosofi”, di teste pensanti che sappiano mettere “sul fuoco” i vari ingredienti – continua Filiputti – Questa è la strada che stiamo percorrendo”
LE ECCELLENZE
Al percorso enogastronomico di “Friuli Venezia Giulia – Via dei Sapori” si sono affiancati anche vignaioli e distillerie, eccellenze nel settore agroalimentare e artigiani del gusto: insieme, il gruppo è portabandiera di quanto di meglio offre a tavola il Friuli Venezia Giulia.
I VIGNAIOLI E I DISTILLATORI ECCELLENTI
“Schiopetto”, “Villa Russiz”, “Castello di Spessa” di Capriva del Friuli; “Edi Keber” e “Livio Felluga” di Cormòns; “Eugenio Collavini” di Corno di Rosazzo; “Venica & Venica” di Dolegna del Collio; “Marco Felluga” di Gradisca d’Isonzo; “Ermacora” di Ipplis; “Giorgio Colutta” di Manzano; “Primosic” di Oslavia; “Vistorta” di Sacile; “Di Lenardo Vineyards” di Ontagnano Gonars; “Petrussa” di Prepotto; “Ronco delle Betulle” di Rosazzo; “Il Carpino” di S. Floriano del Collio; “Forchir” di S. Giorgio della Richinvelda; “Livon” di S.Giovanni al Natisone, “Jermann” e “Tenuta Villanova” di Villanova di Farra; “Zidarich” di Duino Aurisina, “Produttori Ramandolo”. Infine “Grappe Nonino” di Percoto.
LE ECCELLENZE DELL’AGROALIMENTARE
I salumi d’oca e i prodotti di “Jolanda de Colò” di Palmanova; il prosciutto al cartoccio di “Dentesano”; il prosciutto crudo di San Daniele di “DOK Dall’Ava”; le golosità a base di trota di “FriulTrota” di San Daniele; il Montasio del Consorzio per la tutela del formaggio Montasio; il prosciutto di Sauris IGP di “Vecchio Sauris”; i tartufi di “Muzzana Amatori Tartufi”; le specialità di “Dolomiti Friulane Giri di Gusto” (confettura di fico del Consorzio Figo Moro Caneva, Pitina dell’Ass. produttori Pitina della montagna pordenonese, guanciale friulano di “Dhort 1931” di Aviano, miele di tiglio dell’Apicoltura Avianese); l’olio di “Uèli” – Associazione Olivicoltori San Daniele; i pani de “Il Forno” di Tarcento; i sorbetti d’autore di “Della Negra” a Mortegliano; i dolci della Pasticceria Simeoni di Udine; le gubane “Giuditta Teresa”; il caffè di “Oro Caffè” di Udine. E ancora, i magnifici coltelli di “QM – Qualità Maniago”. Con la collaborazione di Castellani di Trieste, “Centro Porsche Udine“.
LE MONOGRAFIE GOLOSE
Nei ristoranti si possono trovare le pubblicazioni edite dal Consorzio, che contengono preziose proposte culinarie del territorio in formato agile da consultare, ma dettagliate e puntuali: tra queste “Radicchio di Gorizia & Radicchi”, primo volumetto della collana Monografie golose, a cui hanno fatto seguito“La polenta – nobiltà contadina”, con 24 gustosissime ricette, “Brovada, fagioli e verze” e “Un Friulano da amare”, dedicato a uno dei vini portabandiera della Regione, che fino a poco tempo fa era il Tocai, ora Friulano.
LE CENE SPETTACOLO
Esclusive, eleganti, raffinate, le “cene spettacolo, in cui si esibiscono tutti i ristoratori, affiancati ciscuno da un vignaiolo, con il corollario degli squisiti prodotti delle eccellenze dell’agroalimentare, sono centellinate nel corso dell’anno, in location di particolare impatto. Il Centro Porsche di Udine, ad esempio, Villa Brandolini d’Adda a Vistoria, il Lungomare di Grado, la storica ex Pescheria di Trieste. Per conoscerne date e dettagli telefonare allo 043/2538752. Informazioni: Friuli Via dei Sapori, Vl. Duodo 5 – 33100 Udine, Tel. 0432/538752, fax 0432/ 538735, info@friuliviadeisapori.it, www.friuliviadeisapori.it
IL PRODOTTO DI NICCHIA: PITINA, TRA IL SALUME E LA POLPEETTA
Carne magra di capra o pecora (rifilature), di capriolo, grasso duro e carne magra di maiale (sottogola, in particolare). Sono questi i principali ingredienti della Pitina, una via di mezzo tra salume e polpetta, caratterizzata dall’intenso profumo aromatico e affumicato. La zona di produzione, il Friuli Venezia Giulia, si estende dalle valli friulane a nord di Pordenone al corso dell’alto Livenza e del Tagliamento, fino alla Val Cellina e alla Val Tramontina. La Festa della Pitina a Tramonti di Sopra ha contribuito a far conoscere la specialità anche fuori regione, fino a suscitare l’interesse di riviste specializzate.
LAVORAZIONE E CONSERVAZIONE
Sembra che già nella prima metà del 1800 fosse in uso fra le genti che abitavano le borgate di Inglagna e Frasaneit, località site nel Comune di Tramonti di Sopra. L’animale veniva macellato e disossato e la carne triturata finemente nella pestadora (un ceppo di legno incavato), quindi insaporita con gli aromi disponibili sul posto: sale, pepe, asinc (un rosmarino selvatico), finocchio selvatico, ginepro e vino rosso, si formavano poi delle piccole polpette passate nella farina di mais (nelle zone montane non c’era, infatti, la possibilità di reperire budella per insaccare la carne e conservarla). Il preparato veniva poggiato sotto la cappa del camino del focolare ad affumicare e lì rimaneva per alcuni giorni. Anticamente dopo la prima asciugatura vicino al fuoco, la Pitina era lasciata nel camarin, un ambiente fresco e ventilato per un ulteriore essiccatura nel tempo. Dopo circa quindici giorni sulla superficie della Pitina iniziavano a formarsi delle muffe bianche, quelle buone, segno che il prodotto si maturava correttamente, e dopo circa un mese le muffe lo coprivano quasi interamente. Il continuo processo di stagionatura garantiva la conservazione. Per consumarla veniva prima lavata con acqua e aceto, e poi asciugata con un canovaccio di cotone e tagliata a fettine sottili per essere mangiata accompagnata da un buon bicchiere di vino oppure si cucinava nel brodo di polenta. Adesso il procedimento cambiato poco, e la Pitina diventata presidio Slow Food. Il sapore molto intenso delle carni selvatiche oggi smorzato da aggiunte che rendono le polpette più morbide e gradevoli al palato. Alla alla carne ovina o di selvaggina alcune produzioni aggiungono infatti del maiale o del lardo, mentre i puristi usano solo carne di montone o di capra. L’affumicatura si realizza con diversi legni aromatici non resinosi, a volte mescolati tra loro, come il ginepro, il pino mugo o il melo (ma la base rimane il faggio). Le Pitine affumicano per sette, otto giorni nel fogolar friulano.
TRADIZIONE E STORIA
La Pitina nata dall’esigenza dei pastori di utilizzare e conservare a lungo la carne degli animali, come camosci e caprioli, catturati durante gli alpeggi estivi. Metodo straordinario per far sparire ogni prova di bracconaggio. La preparazione non richiedeva particolari attrezzature quindi era possibile prepararle ovunque, anche in malghe lontane da centri abitati. La realizzazione delle Pitine avveniva senza un preciso programma, per cui una capra che si spezzava una zampa, un malessere da parto o l’abbattimento di un camoscio, erano l’occasionale condizione per l’immediata preparazione delle succulente polpette/salume friulano. Oggi la Pitina si mangia a fettine, ma ottima anche cucinata: ad esempio nel sugo per paste e risotti.
LA RICETTA
Risotto con Pitina: rosolate mezza cipolla, precedentemente sminuzzata, in un tegame con aglio e burro. Aggiungete la Pitina tagliata a dadini e annaffiate questo soffritto con mezzo bicchiere di vino bianco delle Grave del Friuli. Quando il vino è evaporato versate il riso e del brodo di carne caldo. Quando il riso è quasi cotto spegnete il fuoco ed aggiungete a quest’ultimo delle noci di burro. Servitelo caldo.
Ufficio stampa: “Agorà” di Marina Tagliaferri www.studio-agorà.it – e-mail: agora@studio-agora.it. Tel 0481/62385