
“Nel Segno del Giglio” alla Reggia di Colorno
Attesa e amata dai pollici verdi di tutta Italia, “Nel segno del Giglio” torna dal 20 al 22 aprile nel grandioso Parco della Reggia di Colorno, in provincia di Parma. Una edizione ancora più straordinaria perché vuole affermare che Reggia e Parco di Colorno, gioielli del parmense, prima colpiti da un terremoto e più recentemente dal una tragica alluvione, sono più vivi, curati e meravigliosi che mai.

La Reggia di Colorno
E’ passato un quarto di secolo da quando, correva l’anno 1993, “Nel segno del Giglio” prese vita. Da non molto si erano conclusi i restauri sull’antica Reggia di Colorno e il Parco stava gradualmente tornano all’antica, perduta magnificenza. Lo sforzo fatto dalla Provincia di Parma per ridare dignità all’intero complesso storico dell’antica Reggia aveva restituito un luogo di bellezza straordinaria, scenario ideale per grandi manifestazioni. Di qui l’idea di riportare nel ritrovato Parco persone che, per passione e competenza, sapessero godere del grande recupero. Nasceva così la “Mostra mercato del giardinaggio di qualità”. Il nome della nuova creatura non poteva che richiamare la nobiltà del luogo ed ecco “Nel segno del Giglio“, dove il giglio è l’emblema floreale dei Farnese, Signori di Parma e di questo magnifico buen retiro. Da allora, anno dopo anno, la mostra è cresciuta sino a conquistarsi la qualificazione di “Nazionale”, assumendo un ruolo di sempre maggior rilievo, tanto da collegarsi, unica in Italia, con la più titolata esposizione del Continente, quella di Courson, in Francia.

“Nel Segno del Giglio”
Pur ospitando espositori e visitatori da tutto il territorio nazionale ma anche da altri Paesi europei, “Nel segno del Giglio” si è fatta un punto d’onore: quello di valorizzare le non poche eccellenze verdi del proprio territorio. Di qui l’attenzione che viene riservata alle iniziative di chi nel parmense opera per il recupero di varietà scomparse o per la salvaguarda dei magnifici parchi di una provincia che spazia dall’alto Appennino alla placida piana del Po. Saranno complessivamente 160 gli espositori presenti a questa venticinquesima edizione: accanto ai grandi nomi del settore, anche un nucleo importante di giovani vivaisti con proposte nuove, mai ovvie, e quindi decisamente interessanti e originali. Una Giuria di esperti assegnerà l’ambito Premio intitolato a Ippolito Pizzetti, nume tutelare dell’affermarsi della manifestazione. Protagonisti della manifestazione saranno il giardino ma anche l’orto, o meglio l’annullamento dei confini tra le due realtà domestiche.

“Nel Segno del Giglio”
Per l’orto le parole d’ordine 2018 sono “biologico” e “biodiversità”, con un ampio programma dedicato alla creazione e conduzione di orti biologici, così come ai giardini creati con specie del territorio. Nel parmense operano da diversi anni gli Agricoltori Custodi che setacciano il territorio alla ricerca di vecchie varietà di alberi da frutto e di “relitti” di antichi giardini, per non perdere per sempre la ricchezza di specie e varietà che la massificazione ci sta forzatamente sottraendo. Rose, clematidi, peonie saranno, per ovvi motivi stagionali, le regine della manifestazione, proposte dai maggiori produttori italiani del settore, ma anche le graminacee, sempre più al centro dell’attenzione di chi progetta, o si progetta, un giardino, grande o minuto che sia. Poi le orchidee spontanee, censite e fotografate nell’Appennino parmense.
In occasione della mostra mercato sarà possibile confrontarsi con gli esperti presenti e trarne indicazioni, consigli, idee. Un servizio, questo, molto gradito ai visitatori. Saranno inoltre allestiti vari laboratori rivolti ai più piccoli, per farli divertire imparando, consentendo così ai loro genitori di godersi la visita.

La Reggia di Colorno
Non mancheranno poi gli stand dove rilassarsi, pranzare o solo sorseggiare qualcosa di fresco ed il servizio di stuart messo a disposizione degli acquirenti per movimentare i loro acquisti sino ai parcheggi. La possibilità di visitare la magnifica Reggia o di dedicarsi alla scoperta degli itinerari verdi che conducono ad alcuni degli ambienti naturali più interessanti del territorio, renderanno ancora più interessante la visita di Colorno e della mostra. Un grande momento, insomma, per chi vuole approfondire, cercare, stupirsi e, perché no, godersi una giornata al di fuori dell’ordinario.
VIAGGIO A COLORNO
Centro dell’Emilia Romagna in provincia di Parma, adagiato lungo l’argine destro del Fiume Po, Colorno è dominato dalla maestosa Reggia, conosciuta come la piccola “Versailles della Bassa”, un tempo residenza dei Farnese e successivamente dei Borbone, famiglie delle quali porta ancora i segni del fasto. Ma la storia della Reggia è molto più antica, infatti il primo edificio qui innalzato fu la rocca costruita nel 1337 da Azzo da Correggio, trasformata poi in dimora signorile da Barbara Sanseverino. Oggi la magnifica Reggia è visitabile e nei diversi appartamenti se ne legge tutta la lunga, affascinante storia.

Parco e Reggia di Colorno
La maggior parte delle sale sono senza mobili con pavimenti in marmo rosa e soffitti affrescati. La sala più ampia del palazzo è la Sala Grande, il cui aspetto è il risultato dei lavori intrapresi dall’architetto Ennemond Alexandre Petitot nella metà del 1700 e di cui esistono ancora i disegni originali. La sala divide la parte del palazzo destinata ai duchi da quella destinata alle duchesse, e per il fatto di occupare due piani della Reggia è un esempio di sala all’italiana.

La Reggia di Colorno, interno
Possiamo ancora ammirarne la bellissima decorazione a stucco e il camino realizzato da Jean-Baptiste Boudard, mentre si sono persi gli specchi che ne ricoprivano in parte le pareti. La seconda sala più ampia del palazzo è quella della musica, situata sul lato che affaccia il torrente, mentre quella meglio conservata è la “sala della compagnia” alle cui pareti si trovava, nel 1861, la collezione di 16 ritratti a pastello eseguiti dal Liotard, oggi conservati presso la palazzina di caccia di Stupinigi.
La reggia si affaccia su un magnifico Parco. Oggi nessuno che vi passeggia potrebbe immaginare che qui, sino agli anni settanta si coltivavano patate, c’era un campo di calcio e che vi svolgessero le proprie attività ricreative gli ospiti di uno dei più grandi manicomi d’Italia, struttura situata all’interno dell’antico convento domenicano, adiacente alla Cappella Ducale di San Liborio e alla Reggia. Poi il recupero di Reggia e Parco, ad opera della Provincia di Parma. Un recupero da manuale, condotto sulla base di documenti e disegni originali conservati negli archivi. Ed ecco rinascere il meraviglioso parterre, ovvero l’arabescato giardino, così com’era, secondo i dettami del grande Le Notre. A volere il Parco fu Francesco Farnese (1694-1727), anche se il primo impianto dei giardini risale al 1480 ad opera di Roberto Sanseverino. Per adeguare il suo giardino allo stile francese secondo i dettami di Le Notre, vennero chiamati giardinieri da Parigi. Era loro il compito di creare, secondo il gusto barocco per la “meraviglia”, aiuole geometricamente disegnate, siepi concepite con elementi architettonici, giochi d’acqua ispirati al modello di Versailles. La Grotta Incantata era popolata da automi che si muovevano e cantavano azionati da complessi meccanismi idraulici.

Dettaglio del Parco della Reggia di Colorno
Per alimentare i giochi d’acqua delle varie fontane venne innalzata una Torre delle acque. Negli anni tra il 1730 ed il 1749 il Parco subì un periodo di degrado, coincidente con la morte di Francesco e Antonio Farnese e con l’arrivo dei Borboni che misero in vendita un parte degli arredi trasferendone altri a Napoli.
A riprendersi cura di questo gioiello abbandonato fu Filippo di Borbone che ne affidò la riproggettazione ad Ennemond-Alexandre Petitot e le cure al giardiniere François Anquetil. Successivamente, al tempo di Maria Luigia d’Austria, moglie di Napoleone e sovrana di Parma, il giardino venne trasformato in parco all’inglese, secondo i dettami del gusto romantico; le piante, sino ad allora costrette nei precisi schemi del giardino all’italiana, furono lasciate libere di espandersi. Ne furono importate e messe a dimora in grande quantità: il Barvizius elenca ben 1708 specie presenti nel giardino tra il 1816 e il 1846 e alcuni alberi di allora ancora sopravvivono. Passata la Reggia ai Savoia e quindi allo Stato italiano, le fontane furono smontate e trovarono altre collocazioni, in quello che un tempo era stato un nobile parterre finirono con l’essere coltivate le patate.

Panoramica del Parco
Poi la fine del degrado e l’intervento che ha ridato dignità al giardino, parallelo a quello compiuto sull’edificio della Reggia. Nel 1751 il duca Filippo di Borbone incaricò l’architetto di Corte Jean Marie Bigaud di costruire nei pressi del monumentale Palazzo Ducale un casino sviluppato su due livelli, la Venaria Ducale, che potesse ospitare, oltre agli inservienti, i cani e le attrezzature per la caccia, sua grande passione. I lavori iniziarono nel 1753, ma presto subentrò il nuovo architetto di Corte Ennemond Alexandre Petitot, che apportò significative modifiche al progetto, adeguandolo ai nuovi gusti neoclassici.

Colorno, San Liborio
Ne nacque nel 1755 un complesso di sette edifici distinti, disposti simmetricamente e scenograficamente al termine di un lungo viale alberato tracciato in asse con il ponte sul torrente Parma. Oggi alcuni spazi della Venaria Ducale ospitano il Circolo anziani “Maria Luigia” e le camere per gli studenti della Scuola Internazionale di Cucina (ALMA).
Colorno conserva alcuni interessanti edifici religiosi. Anzitutto la cappella Ducale di San Liborio, situata alle spalle del grande Palazzo Ducale. La chiesa, il cui impianto attuale risale alla fine del 1700, è stata restaurata più volte, recentemente nel 2012 dopo il terremoto. San Liborio si sviluppa su una pianta a croce latina a tre navate, con la facciata rivolta verso nord-est. All’interno vi è conservato un magnifico organo, l’organo Serassi, realizzato fra il 1792 ed il 1796 dai noti maestri bergamaschi Andrea e Giuseppe Serassi, in sostituzione di uno strumento di più piccole dimensioni risalente al 1777. Verso la metà del XIX secolo l’organo cadde in disuso, fino al 1985, quando fu restaurato completamente e reso nuovamente efficiente.

Colorno, San Liborio, l’organo Serassi
Lo strumento, dotato di 2.898 canne interamente realizzate in stagno puro e distribuite tra 68 comandi, rappresentava all’epoca della costruzione caratteristiche di eccezionalità, sia per le dimensioni sia per l’articolazione delle strutture.
Il duomo di Santa Margherita situato in via Mazzini fu costruito in stile tardo-gotico tra il 1512 e il 1525, su ispirazione della ben più grande chiesa di San Francesco del Prato di Parma. Tra il 1660 ed il 1666 fu innalzata sul lato destro la grande cappella del Santissimo Sacramento e nel 1737 la grande cappella di Sant’Antonio, sul lato sinistro. Gli interventi più significativi partirono però solo nel 1834 quando, su progetto dell’architetto Giuseppe Tebaldi, coadiuvato dal più noto Nicola Bettoli, furono innalzate le otto cappelle laterali minori, sostituite le colonne con massicci pilastri, realizzate le volte di copertura e sostituito l’antico pavimento in cotto; i lavori, che modificarono nell’attuale veste neoclassica gli interni dell’edificio, furono completati nel 1844.
Interessante anche la chiesa dedicata a Santo Stefano situata in piazzale Chevé, in prossimità dell’argine del torrente Parma. La chiesa è caratterizzata dall’elegante facciata neoclassica, sviluppata simmetricamente attorno al corpo centrale più alto, con spigoli in finto bugnato e timpano curvilineo di coronamento; al centro di quest’ultimo campeggia un grande stemma borbonico in terracotta sostenuto da due figure della Fama, realizzato fra il 1781 ed il 1782 dall’artista Giuseppe Sbravati.

Colorno, il Museo Paesaggi di Terra e di Fiume
Merita una visita anche il Museo dei Paesaggi di Terra e di Fiume (MUPAC) ospitato all’interno dell’Aranciaia di Colorno, edificio dalle forme tardo-manieriste, situato su un angolo di piazzale Vittorio Veneto. L’ampio edificio fu costruito tra il 1710 e il 1712 quale ricovero invernale per le numerose piante in vaso di agrumi, prevalentemente aranci e limoni, collocate nei mesi estivi nell’adiacente grande parco del Palazzo Ducale. Nella seconda metà del XVIII secolo l’Aranciaia, grazie alle vaste dimensioni, fu trasformata in galoppatoio coperto per i freddi mesi invernali. Sprofondata nei decenni seguenti in un profondo declino, nel 1974 la struttura fu parzialmente recuperata dalla Pro Loco di Colorno che ne adibì una porzione del piano terreno a sede del Museo Etnografico, dell’Ingegno popolare e della Tecnologia preindustriale, della Stampa e del Cinematografo. Il recupero della struttura fu completato solo nel 2014 con la trasformazione dell’intero primo piano in sede del nuovo Museo Paesaggi di Terra e di Fiume (MUPAC), che raccoglie l’eredità del precedente allestimento.

Colorno, la Torre delle Acque
Il museo riunisce oggetti e strumenti che offrono una testimonianza dell’attività contadina, artigianale e fluviale di un tempo. Il percorso espositivo si sviluppa toccando nell’ordine i temi della pesca nel Po, della caccia, della lavorazione di lana e canapa, del processo di produzione del vino, dell’attività artigianale (falegname, arrotino, calzolaio, cappellaio e norcino) e del processo di produzione del Parmigiano reggiano, per concludersi con la mostra di alcuni oggetti relativi all’attività tipografica del XVIII, XIX e XX secolo ed a quella cinematografica.
Prendendo la strada provinciale per Golese incontriamo la Torre delle Acque, un antico manufatto idraulico costruito intorno alla metà del XV secolo. La zona costituiva già all’epoca un luogo strategico dal punto di vista idraulico, tanto che nei secoli successivi vi furono innalzati anche altri edifici legati allo sfruttamento dell’acqua. Con l’estinzione della dinastia dei Farnese nel 1731, il manufatto perse tuttavia la sua originaria funzione di raccolta e convogliamento delle acque, cadde in disuso e fu poi trasformato in edificio residenziale. Oggi la torre si presenta in stato di abbandono, ma un accordo firmato nel 2015 fra la famiglia Guiducci, proprietaria dell’edificio, e l’associazione Agrithermae ne prevede la risistemazione e messa in sicurezza, con lo scopo di realizzarvi un impianto per la produzione di energia idroelettrica; un progetto ulteriore sviluppato in collaborazione dell’Università degli Studi di Parma contempla anche la trasformazione degli spazi interni in sede di un museo delle acque.