Nella terra dei canguri. Da Perth all’Outback, dall’onda di Wave Rock a quelle dell’oceano Indiano.
“Ultimo pub per i prossimi 897 Km”, “ultimo distributore di benzina per i prossimi 645 Km”, ovvero portatevi le taniche se non volete restare a secco ! Per comprendere le immense distanze di un Paese la cui superficie è pari a 25 volte l’Italia basta dare un’occhiata alle riproduzioni dei cartelli segnaletici stradali venduti come souvenir nei negozi di ogni città o paesino australiano.
Se ti affascina questo Paese civilissimo ma ancora in molte zone ricco di paesaggi selvaggi e ancestrali, allora non devi assolutamente perdere l’offerta Amazing Northern Territory di Alidays Travel Experiences: se prenoti entro il 15 aprile il tuo viaggio nel Northern Territory, avrai in regalo un’escursione nel meraviglioso Outback australiano.
Il nostro viaggio non inizia però dall’Outback, bensì da una delle città metropolitane più vivibili del mondo: Perh, sulla costa sud ovest dell´Australia.
Giungendo dall´aeroporto notiamo il cartello “Perth, city for people”, cioè “a misura d’uomo” e difatti ci colpiscono le sue strade prive di traffico, le aree pedonali spazzate ogni sera da potenti getti d’acqua, i parchi e le ampie zone verdi, come l’immenso Kings Park, da cui si gode la scintillante vista dello sky line della città sullo sfondo del fiume Swan. Ordinata ma non asettica, Perh rispecchia nell’architettura il legame con l’Europa. Passeggiando nel centro ci si puo’ imbattere nella meticolosa e curatissima ricostruzione di una tipica chiesa gotica o, addirittura, in una intera strada, il London Court del 1937, in perfetto stile Tudor con casette a graticcio circondate da modernissimi grattacieli. Molti residenti di origine europea hanno scelto di costruire la propria abitazione secondo i modelli del vecchio continente.
Lungo la Ocean Drive, la strada panoramica che costeggia le numerose spiagge di Perth, notiamo, infatti, villini bavaresi o tipicamente normanni e persino alcune casette bianche e azzurre così simili a quelle delle isole greche.
Immense, bianchissime, selvagge e quasi tutte prive di strutture balneari, le spiagge di Perth si susseguono le une alle altre per chilometri. Dalle dune coperte di piccoli cespugli di piante grasse osserviamo i numerosi surfisti destreggiarsi tra le onde dell’oceano Indiano e, al tramonto, i pescatori attendere pazientemente che le prede abbocchino all’amo.
Sempre nella zona del litorale visitiamo il famoso acquario di Sorrento. Tra pesci multicolore, colonie di meduse fosforescenti e foche acrobate, ad attirare maggiormente la nostra attenzione sono i grandi squali che sembrano fissarci attraverso i vetri del tunnel subacqueo.
Dalle onde dell’oceano Indiano passiamo poi all’onda piu’ famosa d’Australia, Wave Rock, un monolite risalente a 27 milioni di anni fa, lungo 100 metri e alto 15. Il vento e la pioggia hanno modellato la roccia facendole assumere le perfette sembianze di una gigantesca onda, caratteristica enfatizzata dalle striature verticali di vari colori dovute alle sostanze chimiche presenti nel granito. Sulla via del ritorno verso Perth decidiamo di fare una breve sosta nella cittadina di York, la più antica dell’entroterra del western Australia. Lungo le sue strade, assolate e deserte, si affacciano edifici in tipico stile coloniale, risalenti all’epoca della corsa all’oro, periodo rievocato dai cimeli raccolti nel Residency Museum.
Prima di lasciare definitivamente la parte ovest del Paese esploriamo la zona di Lanceline e Cervantes, nota per le sue stupende dune di sabbia bianca e per il grandioso Pinnacles Desert. L’escursione a bordo del Desert Storm, un gigantesco 4×4 dotato di sedili a molla e cinture di sicurezza, ci fa vivere momenti di adrenalina pura. Tra le urla, le risate e gli applausi dell’intera multietnica comitiva, il temerario guidatore, accompagnato da musica rock a tutto volume, si lancia dalle dune altissime persino in retromarcia, invitandoci poi a provare anche lo snowboard sulla sabbia, esperienza altrettanto divertente che io e Marco, dopo qualche titubanza, non manchiamo di fare.
La sera, stanchi e affamati, ci concediamo un ottimo fish and chips in un ristorantino del posto, dove conosciamo Toni, in Australia da ben 34 anni, ma con ancora Roma e l’Italia nel cuore. Impegnato nel settore della pesca e della lavorazione dell’aragosta, Toni appartiene a quella generazione di emigranti, provenienti dall’Europa del sud che, tra gli anni’60 e ’70, scelse di trasferirsi in Australia, Paese inizialmente colonizzato soprattutto da Britannici (che vi trasferirono forzatamente centinaia di detenuti) e, poi, da nord europei attratti dalla corsa all’oro e dal boom economico successivo al secondo conflitto mondiale. Toni, nonostante abiti a Cervantes non ha mai visitato il “deserto dei Pinnacoli”, ma ci indica comunque la strada per arrivarci. Sotto un cielo grigio piombo, screziato di azzurro, si apre l’immensa distesa di imponenti colonne calcaree che, sotto i raggi del sole al tramonto, offrono uno spettacolo davvero magico. La zona dei Pinnacles, probabilmente una foresta pietrificata, apparve agli occhi dei primi navigatori olandesi come i resti di una misteriosa città perduta. Non lontano sono ancora visibili, all’interno della grotta Mulca’s Cave, alcune antichissime pitture rupestri aborigene.
Un volo di quasi tre ore ci porta nel cuore dell’Outback, l’entroterra australiano, l’immenso deserto rosso dove svetta, dall’alto dei suoi 348 metri, l’Ayers Rock, in aborigeno Uluru. Dopo anni di soprusi, l’Uluru National Park, ed altri luoghi ritenuti sacri, sono stati restituiti alle tribù locali tramite l’Uluru Kata Tjuta Land Trust, istituzione aborigena. Per preservare l’ambiente, l’area dei lodge e dei piccoli alberghi è edificata ad una rispettosa distanza di 18 chilometri dal monolite, alla cui base vi sono alcuni luoghi sacri che non possono essere nè visitati nè fotografati. Gli aborigeni chiedono inoltre ai turisti di astenersi dallo scalare l’Ayers Rock, esperienza che, comunque, non è categoricamente vietata. La sacralità di certi luoghi deriva dalla concezione aborigena che la natura sia stata creata, durante la mitologica Epoca del Sogno, da esseri ancestrali, divenuti poi essi stessi parte integrante del luogo. Nell’84, nei pressi di Ayers Rock, fu fondato, da e per la gente aborigena, il centro Maruku Arte, dove sono documentati e venduti al dettaglio i lavori artigianali realizzati da ben 800 artisti locali: totem, didgeridoo e uova di emu dipinte, quadri e vasellame.
Dopo aver ammirato le sfumature cangianti che illuminano l’Ayers Rock al tramonto, completiamo la visita della zona sacra con l’escursione ai vicini monti Olga (Kata Tjuta, in aborigeno), una trentina di cupole alte sino a 546 metri, anche esse caratterizzate da colore rosso cupo dovuto alla presenza di ferro nell’arenaria. La solennità del paesaggio naturale viene guastata dalla miriade di fastidiosissime mosche che si appiccicano in qualsiasi parte del corpo scoperta tanto che il giorno dopo, per l’escursione al Kings Canyon, ci riforniamo, come tanti altri turisti, di una ridicola ma utilissima retina per proteggere la testa e il collo. Lungo la strada che corre diritta a perdita d’occhio nel deserto rosso punteggiato da bassi cespugli, incontriamo, a poca distanza dal Canyon, una serie di camion a lunga percorrenza dotati di paracarro anticanguro. Tra le 50 diverse varietà di canguri che popolano l’Australia, alcuni esemplari possono arrivare ai due metri d’altezza e quindi distruggere completamente una macchina se investiti.
Il trekking per raggiungere la cresta del maestoso Kings Canyon è una bella impresa non tanto per la breve salita quanto per i 49 gradi al sole segnati dal termometro situato al punto base del sentiero d’ascesa. Lo spettacolo che si gode dall’alto ci ripaga però della fatica.
Un altro volo di tre ore e raggiungiamo la costa est dell’Australia, sull’oceano Pacifico, precisamente la città di Cairns, punto di partenza per le escursioni alla foresta pluviale e alla barriera corallina. Dalla vicina Green Island ci godiamo le meraviglie subacquee della più lunga distesa di coralli del mondo (2.000 chilometri dal golfo di Papua fino all’isola di Fraser). Altrettanto affascinante la visita a Kuranda che raggiungiamo all’andata in trenino panoramico, con vista su cascate e dirupi, e al ritorno a bordo della sky rail, la funivia denominata “Gondolas” che sorvola per alcuni chilometri la foresta pluviale, patrimonio geologico e botanico, risparmiato dalle eruzioni vulcaniche che distrussero altre foreste primitive.
A Kuranda, così come successivamente all’attiguo Daintree National Park (una delle 2.000 zone protette d’Australia), acquistiamo una breve escursione con l’Army Duck, mezzo anfibio adottato nel periodo bellico ’42-’44. Anche se limitativa e un po’ troppo “formato famiglia” per i nostri gusti, la visita ci permette di osservare alcune specie animali e vegetali sorprendenti: le simpatiche rane arboree grandi sino a 15 centimetri, la farfalla Ulisse, la cui apertura alare, di un bellissimo azzurro luminoso, arriva a 13 centimetri, il fico parassita che uccide e sostituisce l’albero ospite, il Black Wattle con cui sono costruiti i boomerang, le Tree Ferns felci arboree giganti risalenti a 300 milioni di anni fa ed, infine, i nidi di termiti che mangiano il nucleo degli alberi vivi con cui poi si fabbrica il didgeridoo, strumento musicale aborigeno.
Il Litchfield National Park, verso la costa occidentale del Northern Territory, a pochi chilometri da Darwin ci offre lo spettacolo di verdeggianti foreste, miriadi di cascate, come le gemelle Florence Falls, le Tolmer Falls che si tuffano roboanti da due ripide scarpate e le Wangi Falls, la cascata più grande e facilmente accessibile di Litchfield. Imperdibile un bagno nelle Buley Rockhole, una serie di piscine termali e idromassaggi naturali bordati dalla pacifica vegetazione del bush. A Litchfield non perdiamo la visita agli altissimi e surreali termitai giganti che si ergono come lapidi. Eserciti di milioni di minuscole termiti hanno costruito i termitai lungo un asse nord-sud per proteggere le loro colonie dal calore intenso del sole.
Prima di lasciare l’Australia visitiamo anche il Kakadu National Park, a 253 chilometri a est della città di Darwin, il cui nome deriva da una lingua degli aborigeni australiani chiamata Kakadu. Gran parte del parco è di proprietà del popolo aborigeno che contribuisce a preservarne la sua unicità nel tempo e molti delle guide e dei ranger del parco sono aborigeni.
Dichiarato nel 1981 Patrimonio dell’umanità dall’Unesco, è caratterizzato da scarpate rocciose, lussureggianti zone acquatiche, savane erbose e cascate. Kakadu, che deve la fama internazionale alle sue meraviglie naturali e culturali, possiede, nella regione di Nourlangie, una delle maggiori concentrazioni di siti di arte rupestre aborigena del mondo, una vera e propria galleria d’arte all’aperto risalente a 50.000 anni fa. Nella terra aborigena di Arnhem Land, che si estende a est di Kakadu risiedono molti aborigeni che continuano a vivere secondo la tradizione.
Il Nitmiluk National Park, tra la punta meridionale del Kakadu National Park e la regione aborigena di Arnhem Land è un profondo canyon eroso dall’incontaminato Katherine River, che nel corso dei secoli ha scavato tredici gole divise da strette rapide rocciose. Ci affascina il panorama caratterizzato da aspre scogliere di arenaria, lussureggiante foresta pluviale, spettacolari cascate, in particolare le Edith Falls. Nel fiume Katherine non è raro incontrare i coccodrilli d’acqua dolce, denominati freshwater, che raggiungono la lunghezza massima di 3 metri, molto meno pericolosi dei feroci coccodrilli estuarini (saltwater), che si trovano nelle acque del Kakadu.
Non perdiamo l’occasione, durante la nostra visita al Nitmiluk National Park, di fare un rilassante bagno nelle suggestive Katherine Hot Springs, sorgente naturale caratterizzata da acqua cristallina color smeraldo che sgorga a circa 30 gradi, con un percorso immerso in una natura lussureggiante e tropicale.
Dopo l’immancabile foto ricordo con in braccio un tenero koala e una bella grigliata a base di specialità locali, emu, coccodrillo e canguro, siamo pronti ad affrontare le 22 ore di aereo che ci riporteranno a casa.
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di Claudia Meschini
foto Gianmarco Maggiolini (ad esclusione di quelle dei Parchi Nazionali Kakadu, Nitmiluk e Litchfield)
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