Venezia: case e storici palazzi in cui aleggiano fantasmi e misteri.
Cos’altro può evocare il nome “Canal Grande”, se non cortei acquei di dogi e dogaresse, sguardi attoniti e ammirati di viaggiatori più o meno celebri, romantici baci al chiaro di luna scanditi solo dal tonfo soffice del remo? Eppure, la “strada più bella del mondo” – seguendo la definizione che il primo ambasciatore di Francia, Philippe de Commynes, ne diede oltre cinque secoli fa – è anche un luogo pieno di mistero: oltre le finestre dei suoi palazzi, i più prestigiosi e importanti della città, si nascondono le leggende, le curiosità, gli intrighi e le passioni della Serenissima. Nelle loro stanze si è snodata, nei secoli, la storia millenaria della Repubblica. Dai loro balconi si sono affacciate le cortigiane più belle, i poeti più acclamati, i governanti più astuti, gli ospiti più prestigiosi, che hanno reso leggendaria la città lagunare. E qualcuno di loro… non se n’è mai andato, rendendo il Canal Grande anche luogo di dimora di diversi fantasmi.
Come Palazzo Grassi, dove si manifesta lo spirito di una ragazza che, anticamente, si sarebbe lanciata oltre la balaustra di uno dei balconi della corte interna. La giovane ancora oggi si rivolge alle dipendenti del museo che vi è ospitato chiamandole ognuna con il proprio nome. Il suo non sarebbe un richiamo o un urlo, ma piuttosto un sussurro percepibile chiaramente a un solo orecchio, come se si trovasse a lato della ragazza chiamata.
Ca’ Mocenigo“vecchia” si dice invece essere ancora oggi abitata dal fantasma di Giordano Bruno. Giovanni Mocenigo ospitò il celebre monaco-filosofo nel 1591 per otto mesi, sperando di apprendere da lui i segreti dell’arte della memoria, ma forse anche dell’alchimia e della magia. Non avendo però notato nessun miglioramento nelle sue capacità, l’uomo denunciò furibondo Bruno come eretico. A Roma, dopo lunghi anni di processo e varie “sedute” in camera di tortura, fu dichiarato colpevole dal Santo Uffizio e mandato al rogo nel 1600. Tanto terribili furono i supplizi che dovette sopportare, che ancora oggi – la notte della ricorrenza del rogo, il 17 febbraio – il fantasma del frate domenicano ritorna e si manifesta con gesta tutte riguardanti l’acqua, quella stessa acqua che avrebbe potuto spegnere il fuoco: guasti improvvisi alle tubature, rubinetti che si aprono inspiegabilmente da soli, viti che si allentano… Quanto al farsi vedere, lo spettro del filosofo si è mostrato – nel corso degli anni – sempre e solo alle donne, e non si sa perché, a quelle con più di 85 anni.
A Ca’ Pesaro si trova il Museo d’Arte Orientale di Venezia. Da sempre corre voce come, tra le sale, si aggiri lo spettro di un antico samurai, bardato dell’armatura tipica dei guerrieri giapponesi e armato della leggendaria katana, la spada creata apposta per servire un solo combattente. Ombre, luci e rumori… in molti, e in più occasioni, hanno giurato di aver visto aggirarsi la figura del fantasma, silenziosa e spaventosa come solo l’immagine di un guerriero può essere.
Nella zona di Rialto si concentrano almeno tre spettri: il primo di essi – il fantasma di un neonato – ha abitato a lungo proprio il Ponte. Era il figlio del capomastro che lo edificò, che cercò di gabbare il diavolo per riuscire a costruire la grande arcata, ma perse la moglie e il bimbo che gli stava per nascere, uccisi dal demonio. L’anima del bambino iniziò da quel giorno a vagare sul ponte. Una notte un vecchio gondoliere sentì uno starnuto silenzioso. Pur non vedendo nessuno, disse come si conviene “Salute!”. “Grazie!” rispose una voce infantile: era la piccola anima del bambino, che in quel semplice modo fu salvata.
Verso San Marco, davanti a Ca’ Loredan, tra la nebbia sospesa sul Canal Grande, la placida ombra del vecchio Biagio può essere vista sulla superficie dell’acqua, di fronte al palazzo, priva di braccia ma con una lunga pipa in bocca costantemente accesa. Salvò due bimbe della casata dei Gradenigo proprio dal diavolo, ma ci rimise gli arti: se vi trovate davanti a Ca’ Loredan, osservate con attenzione la seconda colonna da sinistra. La figura di Biagio, senza braccia e con la sua pipa, vi apparirà incisa sul marmo. Mano di popolo ha voluto che l’immagine del vecchio fantasma rimanesse perpetuamente scolpita nella pietra.
Sull’altro lato del Ponte, verso la ferrovia, dalle acque antistanti campiello del Remer può essere visto affiorare il corpo di Fosco Loredan, che tiene fra le mani la testa della moglie. Il giovane si annegò dopo aver decapitato per gelosia Elena, la sua sposa, una nipote del doge Marino Grimani.
Tra le dimore affacciate al Canal Grande, però, nessuna può competere con Ca’ Dario, a causa della spaventosa trafila di miserie e di morti che da secoli colpisce i proprietari… Giovanni Dario fece costruire questo palazzo nel 1487. Sua figlia Marietta andò sposa a Vincenzo Barbaro: l’uomo fu allontanato dal Maggior Consiglio, e Marietta morì di crepacuore. Un discendente di Vincenzo, Giacomo Barbaro, che abitò la casa nel diciassettesimo secolo, morì assassinato a Candia mentre ne era governatore. Circa duecento anni più tardi la comprò un mercante di diamanti armeno, Arbit Abdoll, e la maledizione colpì ancora: l’uomo perse tutto, e morì in miseria.
Ai nostri tempi, il magnate statunitense Charles Briggs, scappò dall’Italia per una infamante storia di omosessualità. Il suo amante si suicidò poco dopo, in Messico. Anche il conte Filippo Giordano delle Lanze perse la vita, proprio nel Palazzo, assassinato dal suo amante che gli spaccò la testa con una statuetta. A sua volta l’uomo, Raul Blasich, riparatosi a Londra, scomparve nel nulla.
Morte violenta anche per Cristopher “Kit” Lambert nel 1981. Il manager del famoso complesso rock “The Who”, divenuto proprietario di Ca’ Dario, non si salvò dalla maledizione. Nulla potè contro il terribile potere occulto che aleggia sul palazzo nemmeno il nuovo proprietario, Fabrizio Ferrari, un affarista veneziano, i cui capitali subirono un tracollo spaventoso, e la cui sorella Nicoletta (che abitava nella dimora), fu trovata morta nuda in un prato a pochi metri dalla propria auto, in terraferma.
Fu allora che Ca’ Dario fu acquistata da Raul Gardini, ricco imprenditore della chimica italiana, che finì coinvolto in vicende giudiziarie legate alla corruzione politica e si tolse la vita con un colpo di pistola (anche se sono in molti a sostenere la tesi di un omicidio mascherato). Dicerie? Superstizione? Ma se è vero che ogni palazzo veneziano ha storicamente il suo bagaglio di lutti e morti violente, nessuna tra le dimore della città si è mai ammantata di una tale leggenda nera.
foto Gianni Canton
Alberto Toso Fei, 46 anni, è discendente di una antica famiglia di vetrai di Murano, ed è un esperto di storia veneziana. Viaggiatore e giornalista, ha scritto cinque libri che costituiscono una sorta di antologia del mistero su Veneto, Venezia e sulla laguna. L’ultimo è “Il Veneto del mistero“. Gli altri “I segreti del Canal Grande” (2009), edito da Studio LT2, “Leggende veneziane e storie di fantasmi” (2000), “Veneziaenigma” (2004, vincitore del Premio letterario Gambrinus “Giuseppe Mazzotti” e del Premio del Pubblico “Veneto Banca – La Voce dei Lettori”), “Misteri della laguna e racconti di streghe” (2005, vincitore del Premio Speciale della Giuria per la narrativa veneta del Premio Villa Morosini), tradotti in diverse lingue (Elzeviro). Venezia vi è raccontata come un mosaico ricomposto che, tassello dopo tassello, svela l’enigmatica essenza della città, scavando nel suo passato fino agli albori di una storia lunga tredici secoli: un lavoro che si basa sulla riscoperta della Storia più curiosa e avvincente, lontana dai luoghi comuni e dalla storia ufficiale e contemporaneamente recupera, attraverso le fonti orali, la dimensione più bella del racconto, quello che un tempo avveniva davanti al caminetto.
Nel 2007, con Shaul Bassi, docente di letteratura Post Coloniale all’Università Ca’ Foscari di Venezia, ha dato alle stampe “Shakespeare in Venice”, un libro-guida con quaranta luoghi della Serenissima vista con gli occhi di Otello e di Shylock. Lo scorso anno Toso Fei ha pubblicato il racconto “La Regina del Gelo” all’interno del libro “Accadde a Pechino – Quattordici scrittori per una capitale“, libro edito nel 2010 dall’Istituto italiano di Cultura della capitale asiatica, a seguito del Convegno internazionale tra scrittori italiani e cinesi di Giallo, Noir e Mistero tenutosi a Pechino e Tianjin nell’ottobre del 2009,
Nel 2008 ha realizzato due libri-gioco su Venezia e Roma, editi da Log607, dando vita a una saga che va sotto il titolo di “The Ruyi”: si tratta di due volumi coi quali, grazie a un sofisticato sistema tecnologico, è possibile visitare le città riallineando le pagine con l’uso del telefono cellulare, divenendo protagonisti di una straordinaria caccia al tesoro culturale. Sulla scia dei libri-gioco della collana Whaiwhai, ecco “Carnivalia”, una mappa speciale che contiene 20 racconti e le indicazioni per raggiungere altrettanti luoghi di Venezia.
Nel giugno 2009 il progetto ha vinto il Premio Nazionale per l’innovazione dei Servizi, per la categoria Turismo, direttamente dalle mani del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Alberto Toso Fei è anche il direttore artistico del Festival del Mistero “Veneto: Spettacoli di Mistero” (www.spettacolidimistero.it).
www.albertotosofei.it
IL FOTOGRAFO: Gianni Canton
Gianni Canton nasce nel 1973 a Padova, città nella quale vive e lavora. Si avvicina al mondo della fotografia a 14 anni, e in breve le sue foto si fanno conoscere su riviste locali; inizia così il suo percorso di crescita formativa e professionale. Negli anni successivi la sua attività si concentra nel campo pubblicitario, estendendo la visibilità dei suoi messaggi fotografici. Ha realizzato foto per importanti campagne di comunicazione a livello nazionale e internazionale. Attualmente si occupa di fotografia pubblicitaria e documentaristica.