Djerba, la “Polinesia del Mediterraneo”

Djerba

Djerba, la “Polinesia del Mediterraneo” è l’angolo più tollerante e multireligioso della Tunisia, già di per sé il più democratico e aperto dei paesi a maggioranza musulmana. Gli uomini hanno sempre adorato questa oasi verde circondata d’azzurro anziché di sabbia dorata; si sono sempre accaniti nel volerla prendere e nel volerla conservare: Cartaginesi, Romani, Vandali, Spagnoli, Turchi vi si alternarono, costruendovi città e edificandovi quelle fortezze che ancora oggi si affacciano sulle sue sponde. E neppure Ulisse seppe resistere al fascino di Djerba, l’isola dei Lotofagi.

Sulle spiagge di Djerba

Venticinque secoli fa, una comunità ebraica vi fondò due villaggi, tuttora abitati dai suoi discendenti: Hara Kebira e Hara Seghira, dove io e la mia compagna di viaggio Silvia, visitiamo la piccola sinagoga bianca e azzurra, la Ghriba, che si vorrebbe la più antica del mondo. La Ghiriba è uno dei luoghi più santi per gli ebrei sefarditi, che qui convergono ogni anno per onorare una delle più antiche Torah , scritta su pelle di gazzella e conservata con i suoi preziosi cilindri d’argento.

Un milione e mezzo di palme e seicentomila olivi ricoprono interamente Djerba, arrivando talvolta a lambire il mare e, fra palme e olivi, si estendono centinaia di frutteti e campicelli recintati da siepi di fichi d’india giganti che separano una proprietà dall’altra. Le case coloniche dell’isola, le menzel, tutte rigorosamente di un bianco accecante appaiono simili a piccole fortezze sorvegliate da quattro torrette e cinte da mura senza finestre, le mosche di piccole dimensioni e prive di decorazioni, sono improntate alla più assoluta semplicità di linee e perfettamente integrate nell’ambiente circostante.

Midoun, sinagoga La Ghriba

Il nostro hotel sul mare dista solo sei chilometri dalla cittadina di Midoun, la seconda città dell’isola per importanza dopo la capitale Houmt Souk. Disposta attorno a una deliziosa piazzetta dalle facciate dipinte in stile naif, Midoun è sede di un importante mercato settimanale (venerdì), dove tra i banchi di ortaggi e datteri, spiccano anche quelli che vendono ceramiche multicolore, la mia passione.

Alle giornate in spiaggia alterniamo gite ed escursioni, alcune ludiche come quella a bordo della “nave dei corsari” che ci porta al cosiddetto “atollo dei fenicotteri” (in realtà non abbiamo visto alcun volatile rosa, solo sabbia bianca ed un mare turchese). L’escursione alle “porte del deserto” e alle Oasi di Montagna, che Silvia, in parte, già conosce, la faccio da sola, aggregandomi ad un tour organizzato. Lasciata l’isola con il traghetto, la prima sosta è al chott el-Djerid, un immenso lago salato situato in una depressione ai confini del deserto del Sahara, non lontano dall’oasi di Tozeur. Chott el-Djerid ci appare simile ad un miraggio, un acquerello di colori che variano dal bianco accecante all’azzurro, al giallo, al rosa.

Chott el-Djerid

A seconda delle condizioni atmosferiche e delle stagioni il Grande Lago Salato cambia d’aspetto. D’inverno è accarezzato da un sottile strato di acqua che lo trasforma in uno specchio; in estate è una vera e propria distesa di sale così densa da sembrare di ghiaccio. Quando soffia lo scirocco (in questa zona è molto frequente) la commistione di aria calda porta ad avere fenomeni di miraggio. Capita spesso che, in questa particolare situazione, si possano vedere all’orizzonte gruppi di case o capanne che in realtà non esistono o sono il riflesso di costruzioni a parecchi chilometri di distanza.

ALLA SCOPERTA DELLA TUNISIA BERBERA

A bordo di un calesse visitiamo poi l’oasi di Tozeur, irrigata da 200 sorgenti per produrre succulenti datteri. Stupendo, dal minareto di Sidi el-Mouldi, il panorama sul mare di palme e sulla città caratterizzata da case in mattoni rossi e da piccoli lussureggianti giardini. Ci aspetta quindi la parte più dura del viaggio, quella che a Silvia, una volta tornata a Djerba, descriverò come un tour in un girone dantesco.

Alla scoperta delle oasi di Montagna

Chebica, Tamerza e Mides sono le Oasi di Montagna, sorgono a non molta distanza l’una dall’altra quasi al confine con l’Algeria in un territorio aspro, segnato da profonde gole, grandi cascate d’acqua e da un canyon che ricorda, sebbene in sedicesimo, quello del Colorado. La posizione elevata (oltre i 100 metri) consente scorci panorami ad effetto sugli chott (i bacini di acqua salmastra) e sul deserto. Raggiungere le oasi non è agevole, la strada è in realtà una pista piuttosto sconnessa ed il caldo è soffocante nonostante l’altitudine. Finalmente ci appare la prima oasi, Chebica, originata dall’Oued Khanga, il torrente principale di tutta la zona. L’abitato, antico insediamento romano, ed il palmeto sono posti a mezza costa. Il torrente si apre la strada attraverso la gola a strapiombo ricca di piccoli laghi e di roboanti salti d’acqua contornati da ciuffi di palme. Tamerza, la capitale delle oasi di montagna perché, almeno quando l’ho visitata io, ospitava l’unico albergo di tutta la zona, ci offre lo spettacolo di una cascata alta quindici metri, verdi palme, giardini curatissimi e piccole case in terra in stile algerino.

Chenini

La minuscola Mides, la più elevata tre oasi, ospita un ricco agrumeto che produce aranci famosi in tutta la Tunisia.

Una lunga passeggiata in spiaggia dove riposano piccole barche colorate e qualche bagno nel mare limpido e refrigerante di Djerba ed io e Silvia siamo già pronte per una nuova escursione: i villaggi berberi che sorgono lungo l’interminabile teoria di montagne tabulari che si stagliano sui bordi dell’altipiano sahariano. A prima vista potrebbero sembrare deserti, con la loro cittadella diroccata la cui massa grigiastra si staglia contro un cielo di fuoco; alcuni lo sono, in effetti, ma molti nascondono la vita come ad esempio Chenini, prima tappa di questo suggestivi itinerario. Tranquilla, poco propensa a svelare la sua bellezza, Chenini si rivela solo poco a poco. Sorge sui bordi di una cresta semicircolare, sormontata dalle masse dai toni rossicci dell’antico Ksar, che si stagliano romanticamente sul blu del cielo. Sui fianchi della montagna gli antichi abitanti hanno scavato grotte simili ad alveoli di un enorme termitaio: l’effetto è imponente, meravigliosamente pittoresco.

Villaggi trogloditi a Matmata

Ma saranno i villaggi berberi di Tataouine, Médenine e quelli trogloditici della regione dei Matmata ad affascinarmi maggiormente. Alcune abitazioni sono scavate sotto terra come piccoli crateri conferendo al paesaggio un suggestivo aspetto lunare tanto da aver suggerito a Gerge Lucas di girare qui alcune scene della saga di Guerre Stellari.

Le dimore sotterranee, tutte a due livelli, si rivelano esternamente solo per un’apertura a fior di terra; una galleria consente di accedere a una specie di pozzo, attorno al quale vengono scavate le stanze abitative e i depositi di grano; lungo questo cunicolo sono scavati anche i capanni per gli arnesi e le stalle. Prima di ritornare a Djerba facciamo tappa a Gabes, la più importante oasi in riva al mare, immersa nel verde lussureggiante del suo grande palmeto, sotto il quale si sviluppa un fitto strato di vegetazione, tagliato qua e là dalle acque limpide di qualche seguia (corso d’acqua). La Gabes di oggi si estende attorno al centro antico che ospita vivacissimi souk.

Ksar a Médenine

Qui si possono comprare deliziosi pezzi di artigianato locale come gli articoli di vimini con foglioline di palma, piccoli gioielli in argento, oggetti in ferro battuto. Forse intimidito dalla prorompente bellezza della natura, l’uomo qui non ha costruito grandi cose: l’unica opera degna di menzione è la moschea di Sidi Boulbada con il bel cortile in pietra rosa.

Prima di lasciare Djerba io e Silvia abbiamo la malaugurata idea di fare una passeggiata a cavallo. Per me si tratta del “battesimo” in sella e già per issarmi in groppa al mio apparentemente mansueto cavallo sono costretta prima a salire su un muretto in pietra. Conquistata dal paesaggio che stiamo attraversando, e intenta più a scattare foto che a vigilare sulla traiettoria presa dal quadrupede, non mi accorgo che il cavallo si sta dirigendo verso il mare invece che proseguire lungo la spiaggia. E’ ormai troppo tardi per cercare di correggere la rotta, anche perché non so usare le redini, le alte onde ci stanno venendo incontro e il cavallo, spaventato, fa un dietro front improvviso per sfuggire ai flutti, partendo al galoppo lungo la spiaggia.

Gabés, mercato delle spezie

Sono spaventata a morte, mi torna all’improvviso in mente il catastrofico incidente accaduto qualche anno prima all’attore Christopher Reeves, rimasto paralizzato dopo una banale caduta da cavallo e prendo quindi una decisione, forse un po’ azzardata ma che mi consente di non sentirmi in balia dell’animale, ormai senza controllo. Sarò io a lasciarmi scivolare dalla sua groppa e non lui a disarcionami, imbizzarrendosi, facendomi, caso mai, battere la nuca. Tolgo gli occhiali da sole, rimetto velocemente nella borsa la macchina fotografica per proteggerla dagli urti, tolgo i piedi dalle staffe, mi posiziono il più parallelamente possibile al fianco del cavallo e mi lascio quindi cadere di lato, sperando di cavarmela con poco. E difatti la caduta non mi lascia grossi strascichi se non un gomito indolenzito e sabbia nei capelli, mentre al cavallo viene, mio malgrado, inflitta una punizione esemplare. Al rientro verso l’hotel mi accorgo infatti che gli hanno strattonato il morso e dalla bocca gli cola qualche goccia di sangue. La mia fasciatura è nulla rispetto al vistoso gesso al braccio che porta una signora italiana incontrata all’aeroporto il giorno della nostra partenza da Djerba.

A cavallo sulle spiagge di Djerba

Il primo giorno di vacanza è scivolata a bordo piscina ed ha dovuto operarsi d’urgenza per ricomporre la frattura, un incidente preso con notevole filosofia, considerato il suo buonumore. L’incidente con il cavallo tunisino non mi ha comunque impedito di salire in groppa al cavallo buthanese che, per un lungo tratto, mi ha portato verso “La Tana della tigre”, il famoso monastero buddista inerpicato a 3.200 metri d’altezza sulle vette dell’Himalaya. Ma questa è un’altra storia……